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RICERCA: palizzi
  • Costantini Giuseppe (Nola, NA 1844 - San Paolo Bel Sito, NA 1894)
    Il cavalluccio
    olio su tavola, cm 14,5x25,8
    firmato e datato in basso a destra: G. Costantini 1887

    Gli inconfondibili soggetti di Giuseppe Costantini sono profondamente radicati nelle terre natie del nolano e si snodano pertanto in scene popolari prettamente rurali e contadine. Contrariamente a certe tendenze veriste coeve e fortemente patetiche, però, la poetica del vero del Nostro preferì sempre distendersi in spaccati di vita più sereni e di sovente giocosi (seppur ugualmente immersi in evidenti condizioni di miseria), secondo un deciso intimismo che forse gli derivò dalla visione alle Promotrici napoletane delle opere dei fratelli Gerolamo e Domenico Induno.
    L’assimilazione della lezione di Filippo Palizzi (più che di Domenico Morelli) si tradusse sul piano dello stile del Costantini in una minuziosissima attenzione alla resa di ogni più infinitesimo dettaglio compositivo, e medesima sorte toccò agli effetti luministici, con un definitivo risultato che ricorda in qualche modo la grande pittura fiamminga d’età moderna.
    Stima minima €4000
    Stima massima €7000
  • Palizzi Filippo (Vasto,CH 1818 - Napoli 1899)
    L'asinello solleticato
    olio su tela cm 35x46
    firmato in basso a destra: Palizzi
    a tergo timbro Coll. Comm. Grossi Napoli; cartiglio Mostra celebrativa Filippo Palizzi Domenico Morelli Soc. Prom. BB.AA. Salvator Rosa

    PROVENIENZA:
    Racc. Principe di Sirignano, Napoli; Raccolta Comm. T. Grossi, Napoli; Coll. Avv. G. Armiero, Napoli; Coll. privata, Napoli

    ESPOSIZIONI:
    Roma 1953; Napoli 1955

    BIBLIOGRAFIA:
    G. Doria, catalogo Mostra dell'Arte nella vita del Mezzogiorno, Roma 1953 pag. 42-43;
    Raccolta di opere d'Arte del Mezzogorno d'Italia , Ediz esclus. Banca Naz del lavoro 1953 , a colori ;
    E. Lavagnini, L'Arte moderna, Utet, 1956,pag. 708 tav 696;
    Catalogo della Mostra celebrativa di Filippo Palizzi e Domenico Morelli, Società promotrice di BB.AA. Salvator Rosa Napoli 1961 n.70 tav LXVI
    Stima minima €18000
    Stima massima €24000
  • Mancini Francesco detto Lord (Napoli 1830 - 1905)
    Corsa di cavalli in campagna
    olio su tela cm 50,5x76,5
    firmato e datato in basso a destra: F. Mancini 1878

    Se il noto appellativo di “Lord” fu guadagnato per l’assidua frequentazione dei più raffinati ambienti inglesi, conseguentemente tradotti in pittura con instancabile frequenza, Francesco Mancini non rinunciò mai ad una produzione paesaggistica che lo collegava invece alla grande tradizione napoletana cui egli fu inizialmente introdotto da Gabriele Smargiassi.
    Parte come è evidente di quest’ultimo filone pittorico, due sono le peculiarità del Mancini presenti nella tela proposta: innanzitutto il soggetto equino, qui addirittura moltiplicato, cui il Nostro fu particolarmente appassionato ed attento per tutta la sua vita, ritraendolo nelle più svariate pose e senza mai cedere alla fantasia, tradendo l’apprendimento tanto tematico che stilistico della lezione di Filippo Palizzi, cui il Mancini s’avvicinò poco dopo il compimento della sua formazione artistica. L’altro elemento caratteristico di cui s’accennava è l’azzardato taglio angolare della composizione, che collega in qualche modo l’autore alle più aggiornate tendenze pittoriche del tempo (quelle dell’Impressionismo, ad esempio) nonché ai coevi risultati raggiunti dalla fotografia.
    Stima minima €6000
    Stima massima €8000
  • Cammarano Michele (Napoli 1835 - 1920)
    Suonatori ambulanti
    olio su tela, cm 110x71,5
    firmato in basso a sinistra: Mic. Cammarano

    Provenienza: Raccolta E. P. Milano; Coll. Apa Torre del Greco; Gall. Giosi, Napoli; Farsetti 2000; Coll. privata, Firenze; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Milano, Gall. Guglielmi 23-26 Nov 1939; Napoli Gall. Giosi 22-28 ottobre 1988

    Bibliografia: Opere pittoriche dell'Ottocento nella Raccolta E.P., Gall. Guglielmi, Milano 1939, n. ord. 229 Cat. Galleria Giosi Napoli 1988 n° cat 32 (in copertina )

    Figlio (e nipote) d’arte, Michele Cammarano crebbe dunque in un ambiente favorevole alla sua vocazione pittorica e si iscrisse pertanto appena possibile al Real Istituto di Belle Arti di Napoli, frequentando con merito e lodi gli insegnamenti dello Smargiassi e del Mancinelli. Insofferente tuttavia (come tanti suoi coetanei) nei confronti dell’accademismo distampo ancora romantico, Michele preferì formarsi principalmente sul naturalismo dei fratelli Palizzi, sfruttando però l’adesione al vero come mezzo di rappresentazione dei tumultuosi eventi storici che gli si andavano verificando attorno: arruolatosi nella guardia nazionale, all’epica risorgimentale ed alle prime grandi imprese del neonato Regno d’Italia furono dedicate importanti tele quali “Carica dei Bersaglieri a Porta Pia” del 1971 (non scevra da influenze di Géricault, che Cammarano vide a Parigi, l’opera è oggi al Museo di Capodimonte in Napoli) e “Il 24 Giugno a San Martino” del 1883 (Roma, GNAM), nonché il suo ultimo capolavoro, “Battaglia di Dogali”(1896, anch’essa a Roma).
    Se Maltese (uno dei protagonisti della rivalutazione critica del Cammarano nel corso del Novecento) ha giustamente sottolineato quanto all’artista interessassero in definitiva, più del preciso accadimento storico, la sua immediata violenta e l’intrinseca miseria dei suoi protagonisti, va detto che in effetti a queste tensioni drammatiche Michele già dedicò alcune opere antecedenti a quelle più propriamente “storiche”, con intenzioni del tutto assimilabili al Verismo di Verga in letteratura: ecco allora “Terremoto di Torre del Greco” e “Ozio e lavoro” (uno del 1861, oggi al Museo di San Martino, l’altro del 1863, oggi al Museo di Capodimonte), nonché “Incoraggiamento al vizio” (che scosse la Biennale veneziana del 1869, oggi in collezione privata) e “Rissa a Trastevere” (1887, conservato nelle Gallerie dell’Accademia di Belle Arti napoletana).
    A questa temperie va ricondotta l’opera proposta, raffigurante in sostanza l’essenza stessa della miseria che trascende finanche i propri rappresentanti, due suonatori ambulanti in abiti assai sdruciti; finanche la strada sterrata che i due personaggi calpestano, nonché allo loro spalle la cadente struttura lignea e più indietro ancora il cielo cupo, contribuiscono tutti a trasmettere il malessere esistenziale della scena. Straordinaria, va detto, è la bambina, che scura in volto avanza la propria mano verso l’osservatore per chiedergli aiuto: sembra quasi anticipare di circa un secolo la memorabile sequenza cinematografica del neorealista “Umberto D.”, prodotto del genio desichiano. La tecnica è tipica del Cammarano, consistendo in densi impasti di colore (dati da grossi colpi di brossa o di paletta) su cui la luce crea giochi peculiari ed altamente intensi ed espressivi.
    Stima minima €15000
    Stima massima €25000
  • Palizzi Nicola attrib. (Vasto - CH 1820 - Napoli 1870)
    Scena di caccia
    olio su tela, cm 24,5x37,5
    Stima minima €800
    Stima massima €1200
  • Autore non ident. XIX Secolo (Copia dell'opera Eccolo di F. Palizzi) Donna con cane olio su tela, cm 48x35
    Stima minima €250
    Stima massima €350
  • Palizzi Nicola (Vasto - CH 1820 - Napoli 1870) Paesaggio flegreo olio su tela, cm 37x48 firmato e datato in basso a destra: N. Palizzi 1844
    Stima minima €3000
    Stima massima €5000
  • Siviero Carlo (Napoli 1882 - Capri 1953)
    Il foulard rosso
    olio su tela, cm 95x69
    firmato in alto a destra: Siviero

    La multiforme e ricca attività artistica di Carlo Siviero non può prescindere dal suo ugualmente febbrile lavoro di critico (che, oltre a farlo apparire su testate importanti quali “Il Mattino” ed “Il Messaggero”, produsse “Questa era Napoli”, un omaggio testuale, carico di preziose testimonianze, alla grande scuola artistica partenopea fra tardo Ottocento ed inizio Novecento), dai molti incarichi di docenza nonché dall’organizzazione di esposizioni di grande prestigio che il nostro intraprese con la sincera intenzione di valorizzare quanto in arte si fosse fatto ed ancora si facesse nella città di Napoli (fu lui ad esempio a donare il bronzo “L’idolo” di Achille D’Orsi al Museo Nazionale di San Martino).
    Come tanti suoi contemporanei Siviero abbandonò precocemente gli studi in contrasto con i desideri paterni per dedicarsi all’arte, ricevendo i primissimi insegnamenti dal pittore Enrico Rossi, suo parente. Particolarmente significativa per la sua formazione fu poi l’iscrizione alla Scuola Serale Operaia di Disegno (sita al tempo presso San Domenico Maggiore), ove fu allievo di Tommaso Celentano (per il quale il nostro spese in seguito molte, affettuose parole) e Stanislao Lista: gli insegnamenti poco ortodossi di questi maestri, nonché il lavoro previsto per gli studenti presso la Fonderia Corradini, indirizzarono Siviero verso i temi sociali dell’operaio e della macchina; ugualmente poco accademico (e molto moderno) fu il suo gusto per i paesaggi da ritrarre, tipicamente barche ancorate al porto piuttosto delle usuali e più convenzionali vedute col Vesuvio sullo sfondo. Solo più tardi, e brevemente, il nostro risulta effettivo studente del Real Istituto di Belle Arti, ove fu allievo di Domenico Morelli (sulla figura del quale scrisse un volume mai pubblicato) e Filippo Palizzi, alla morte dei quali Siviero preferì evidentemente continuare la propria formazione a Roma; rimase comunque in contatto (e vi strinse un lungo sodalizio) con un terzo mentore, Vincenzo Volpe.
    In effetti la succitata attività intellettuale e non solo strettamente artistica di Siviero favorì una fitta rete di legami che egli tessé con conterranei e contemporanei: gli altri allievi di Celentano (fra i quali Luca Postiglione e Giuseppe Uva), gli studenti dell’Istituto regio (Antonio Mancini e Vincenzo Gemito, al quale il nostro dedicò uno scritto), i compagni delle molte battaglie combattute con la penna, quali Gaetano Esposito, Attilio Pratella, Giuseppe Casciaro; quest’ultimo in particolare fece poi “scoprire” l’isola di Capri a Siviero (ove il nostro poté fare la conoscenza di Massimo Gorki e di altri esuli russi), il quale tanto se ne innamorò da decidere di morirvi nel 1953.
    I ritratti furono le opere di Siviero che più lo portarono all’attenzione della critica e dei collezionisti, fin da quando cioè fra 1909 e 1910 varie sue prove in questo genere pittorico furono esposte in Italia e all’estero (si ricordino qui la Biennale veneziana e il Salon d’Automne di Parigi, fra le altre). Va sottolineata la presenza del nostro oltre i confini peninsulari poiché egli, percependo argutamente l’arretratezza in quanto a correnti artistiche della giovane nazione (in particolare nel Meridione che andava ancora attardandosi sulla tradizione del secolo precedente), decise di viaggiare per l’Europa, in Russia e si spinse in seguito finanche nel continente americano. Al contrario di tanti suoi contemporanei, comunque, non fu Parigi ad influenzare radicalmente l’arte di Siviero quanto Londra (ed in seguito l’Olanda), e già l’opera in asta mostra quanto il suo autore fu debitore nei confronti di John Singer Sargent. Non mancano comunque fra i ritratti esiti meno riusciti (più accademici e convenzionali) e risultati più felici, ove l’ispirazione dell’autore e magari una sua letterale “sympatheia” con il soggetto da rappresentare permise di cogliere di quest’ultimo la peculiare e profonda psicologia; in alcuni dipinti, inoltre, l’attenzione di Siviero pare allargarsi all’ambiente circostante, non limitandosi al solo personaggio da ritrarre, laddove questi è altrove circondato da un’aura “silenziosa” (concretizzata in unico fondo scuro o neutro) che ne esalta la personalità. Procedendo cronologicamente all’interno della produzione ritrattistica dell’autore può infine riscontrarsi una progressiva smaterializzazione della linea disegnativa in favore di una costruzione dei corpi tramite una sapiente uso dei colori, assistendo dunque al superamento della tradizione accademica partenopea ed alla adozione dei più moderni stilemi d’Oltralpe: la grande tela qui proposta ci pare un valido esempio di questa transizione.
    Stima minima €2500
    Stima massima €4500
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888) Processione nuziale olio su tela, cm 77x90 firmato, in basso a sinistra: Palizzi
    Base asta €4000
    Stima minima €6000
    Stima massima €8000
  • Verdecchia Carlo (Atri, TE 1905 - 1984) La buona terra olio su tela, cm 128x109 firmato in basso a destra: C. Verdecchia Provenienza: Eredi dell'artista, Napoli Esposizioni: Omaggio a Carlo Verdecchia - 61° Premio Michetti, luglio 2010 Francavilla al mare Bibliografia: Carlo Verdecchia, a cura di I. Valente, Ed. Vincent, 2010 pag. 114


    Ormai maturo, Carlo Verdecchia ebbe modo di sottolineare in prima persona la sua lontananza dalle scuole artistiche tanto passate che a lui coeve, riaffermando una ricerca pittorica del tutto personale.
    In effetti, eccezione fatta per un periodo di ricerca vicino al Novecento italiano, periodo comunque limitato agli anni del Fascismo e motivato probabilmente dall’occasione di poter così esporre a livello nazionale e non più meramente locale (ricordando anche che allora difficilmente si aveva accesso a qualsivoglia esposizione, senza adesione al Partito ed ai suoi ideali artistici), Verdecchia mantenne sempre una peculiarità tutta sua nel dipingere, sospesa fra un genuino attaccamento al suo mondo d’origine (l’Abruzzo), spiccatamente rurale, ed il nuovo sentire dell’uomo e dell’artista novecentesco, una commistione questa che gli procurò nel tempo varia fortuna, dovendo ammettere purtroppo che oggi non gli è più rivolta l’attenzione che egli meriterebbe e che in effetti gli fu concessa in vita.
    Ne deriva dunque che la ricerca artistica di Verdecchia fu innanzitutto un’esperienza solitaria ed intima, e difatti molteplici sono le opere che riguardano i suoi affetti, come la moglie Augusta, la figlia Aurora, la domestica Maria; di pari importanza tuttavia sono gli “affetti” della sua terra natia, della sua vita contadina, dei suoi animali (in questo caso l’autore pare particolarmente vicino ad altri Abruzzesi d’un secolo precedenti, i Palizzi): a questo secondo filone appartiene senza dubbio l’opera proposta, assai conosciuta all’interno della produzione dell’autore.
    Liberato dai vincoli del Novecento al termine della Seconda Guerra Mondiale (e quindi del Fascismo), la pennellata del Verdecchia si fa più fluida e tradisce anche per la tavolozza adottata una certa vicinanza al fare espressionista, ancora una volta declinato secondo lo spirito più peculiare dell’autore e senza cioè un effettivo avvicinamento all’arte di inizio secolo. Guardando meglio la grande tela tuttavia non può non ammettersi che in questo caso il modello principale del nostro sia Paul Cézanne, che con la sua ricerca spaziale e volumetrica influenzò molti novecentisti contemporanei; al grande pittore francese Verdecchia s’ispirò anche per una serie di mirabili nature morte.
    Base asta €2500
    Stima minima €4000
    Stima massima €7000
  • Dalbono Edoardo (Napoli 1841 - 1915)
    Figura sul sofà
    olio su tela, cm 40x27
    firmato in basso a sinistra: E. Dalbono

    Nato in una benestante famiglia di letterati, Edoardo Dalbono ricevette una vasta educazione fin dalla più tenera età, innanzitutto dal padre Carlo Tito, critico e poeta estemporaneo (che pure presentò poi il figlio ai di lui futuri maestri Giuseppe Mancinelli e Nicola Palizzi). Proprio nelle illustrazioni da affiancare ai componimenti paterni, culminanti in seguito in una più ampia opera sulle tradizioni partenopee, Edoardo diede iniziale prova del suo innato talento artistico. Il gusto per il costume popolare finì poi in effetti per accompagnare l’autore per tutta la sua successiva produzione (ricordata tuttavia principalmente per i paesaggi oscillanti fra novella lezione palizziana e sentimento onirico del tardo posillipismo), specialmente a seguito dell’evoluzione cromatica che Dalbono sviluppò nel corso della sua esperienza col gruppo della Scuola di Resina; l’appartenenza alla Repubblica di Portici (come fu solito chiamarla Domenico Morelli) fu inoltre per il nostro ancora più significativa se si considera il fatto che proprio Giuseppe De Nittis presentò Edoardo ad Adolphe Goupil, il celebre mercante francese che addirittura volle tenere l’artista sotto contratto d’esclusiva per ben nove anni: le figure del popolo tipicamente dalboniane finirono dunque con ogni probabilità per moltiplicarsi, poiché è noto quanto il collezionismo internazionale amasse e ricercasse piacevoli scenette di genere dal sapore folkloristico.
    L’opera proposta seguì appunto con ogni probabilità l’esperienza di Dalbono a Resina ed il suo contatto col mercato d’Oltralpe, se qui l’impianto disegnativo dell’autore (maturato come s’è detto con la sua attività di illustratore ed in seguito di grafico) va smaterializzandosi in veloci pennellate lineari e piccole macchie di colore, secondo un fare ora vagamente impressionista che tradisce la conoscenza degli esiti pittorici coevi francesi diretta o per lo meno mediata dagli artisti porticesi, senza contare l’influenza che su Dalbono ebbe pure modo di esercitare Mariano Fortuny i Marsal, raffinato pittore spagnolo presente appunto a Portici nel 1874.
    Stima minima €2500
    Stima massima €4500
  • Filippo Palizzi (Vasto (CH) 1818 - Napoli 1899) Interno di stalla olio su tela cm 33x23 firmato in basso a destra: F. Palizzi
    Stima minima €7000
    Stima massima €9000
  • Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899) Studi per animali china su carta a) cm 9x11 b) cm 20x16c) cm 9x11 firmati
    Stima minima €1300
    Stima massima €2500
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888) Fanciulle al bagno olio su tela cm 64,5x81 firmato e datato in basso al centro: Palizzi 51

    Bibliografia: A. Schettini, La Pittura napoletanadell'Ottocento E.D.A.R.T. Napoli 1966 vol I pag. 121

    Non sarebbe stato difficile probabilmente datare quest’opera anche qualora Giuseppe Palizzi non l’avesse fatto in prima persona, riconoscendosi in essa già al primo sguardo la foresta di Fontainebleau, particolarmente cara all’artista e ricorrente pertanto in una folta schiera di sue opere, tanto da far ribattezzare l’autore «le Sylvain» all’interno della comunità artistica di Parigi, città in cui egli giunse tra il 1844 e l’anno seguente, dopo la definitiva rottura con l’ambiente accademico napoletano ed in particolare con Gabriele Smargiassi. L’arrivo della tela in questione nel capoluogo campano potrebbe dunque risalire già alla fine del secolo diciannovesimo, quando alla morte dell’autore il fratello Filippo cercò di vendere tutto il possibile in Francia e riportò con sé in terra natia quel che rimase.
    Comunque Giuseppe Palizzi del suddetto Smargiassi (che pure fu suo maestro durante gli anni di formazione) conservò una qualche influenza se, pur innovando radicalmente l’approccio di fondo alla sua pittura di paesaggio, rigorosamente ritratto dal vero come andavano facendo i nuovi amici della Scuola di Barbizon, conferì a questo spesso un’aura idillica e romantica, come è chiaramente impresso del resto proprio sull’opera proposta, i cui eleganti personaggi sembrano attardarsi dal secolo precedente piuttosto che anticipare i protagonisti de “Le déjeuner sur l'herbe” di Édouard Manet (che pure il Palizzi conobbe), i quali avrebbero fatto capolino al Salon des Refusés dieci anni più tardi.
    Per le simpatie maturate nel corso della nuova vita parigina è logico nonché giusto pensare poi per il Palizzi anche un confronto col maestro indiscusso del paesaggio francese dell’Ottocento, Théodore Rousseau, un confronto tutto giocato senza ombra di dubbio sul geometricamente ristretto eppur potenzialmente infinito campo della tavolozza adoperata dai due pittori: se infatti il caposcuola dei Barbisonnier, legato a suggestioni tutte fiamminghe, preferì sempre come è noto caratteristiche tinte rossastre, l’artista di Vasto vi oppose colori più freddi, tra una gran varietà di verdi ed il nero, così come gli fu imposto dallo spettacolo della natura che gli si manifestò tante volte tra luci ed ombre nei meandri dell’adorata foresta alle porte di Parigi.
    Stima minima €4000
    Stima massima €7000
  • Scoppetta Pietro (Amalfi, SA 1863 - Napoli 1920)
    Venditrice d'arance
    olio su tela, cm 42x24,5
    firmato, datato e iscritto in basso a destra: P. Scoppetta Amalfi 95

    Ci si potrebbe forse azzardare a parlare di una certa inquietudine nell’animo di Pietro Scoppetta, come se egli avesse una innata esigenza di muoversi incessantemente, così come rapido fu sempre il suo tratteggiare i propri soggetti sui supporti via via di varia natura.
    Nativo di Amalfi, Scoppetta infatti solo brevemente studiò (dopo aver abbandonato l’idea di far carriera da architetto, come avrebbe desiderato il padre) presso Maiori sotto la guida di Gaetano Capone prima e di Giacomo di Chirico poi, risultando iscritto al Real Istituto di Belle Arti di Napoli già nel 1878: questa precoce formazione si basò come è ovvio immaginare sul nuovo approccio al soggetto artistico che, a partire soprattutto dalle idee di Filippo Palizzi e Domenico Morelli, andava rigorosamente ritratto dal vero. Agli inizi del penultimo decennio del secolo Scoppetta comunque già si trasferì a Roma, ove agli studi seguì l’inizio della sua attività come grafico ed illustratore che in qualche modo avrebbe poi influenzato tutta la sua produzione artistica successiva. Non molto tempo dopo un nuovo spostamento segnò il ritorno nella nativa cittadina costiera, dove il comune gli fornì uno studio presso l’Hotel dei Cappuccini.
    Fino a quel momento le opere di Scoppetta si rifecero sostanzialmente alla grande tradizione pittorica dell’Ottocento napoletano (come abbiamo accennato), dividendosi fra paesaggi particolarmente attenti alla lezione romantica e sognante della Scuola di Posillipo e più schiette e popolaresche scene di costume, cui chiaramente appartiene l’opera proposta. La rapida pennellata tuttavia già rivela la natura genuinamente impressionista dello stile dell’autore, rafforzata dall’attenzione al tratto lineare che gli impose il suo mestiere di grafico ed illustratore; la tavolozza di Scoppetta infine, proverbialmente consistente in pochi colori, risulta qui invece ancora piuttosto ricca, segno con ogni probabilità di una più rigorosa rappresentazione del vero durante questa prima fase produttiva.
    Stima minima €4000
    Stima massima €6000
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