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ASTA

lotto 135

  • Morelli Domenico (Napoli 1823 - 1901)
    I profughi di Aquileia
    olio su tela, cm 45x118
    firmato in basso al centro: Morelli

    Provenienza: Coll. privata, Napoli


    L’aver conseguito un primo premio di pittura nemmeno ventenne (grazie all’opera Virgilio comanda a Dante di inginocchiarsi appena che conobbe l’angelo che guidava la navicella colle anime del Purgatorio), dopo un’iscrizione assai precoce al Real Istituto di Belle Arti, è già un esempio (uno fra tanti) sufficientemente esplicativo della vita geniale
    ch’ebbe Domenico Morelli, un nome ormai tanto affermato da risuonare ben oltre i salotti degli appassionati d’Arte.
    Il conseguente primo, breve pensionato romano permise com’era di consueto al giovane artista di copiare dal vero le molte antichità dell’Urbe, ma probabilmente ancora più importante fu per il Morelli la visione del ciclo pittorico del
    casino Massimo, realizzato com’è noto dal gruppo dei Nazareni, i quali divennero inconsapevolmente un insostituibile legame tra il pittore napoletano e l’arte tedesca che più volte l’avrebbe influenzato nel corso della sua carriera.
    Un secondo pensionato a Roma (dopo un concorso sul tema Goffredo e l’Angelo) fu invece impedito dall’atmosfera soffocante di censura imposta dal regime borbonico all’indomani degli eventi del 1848, e fu questa alla fine un coincidenza probabilmente felice, in quanto il Morelli si risolse allora di raggiungere segretamente Firenze, dove trovò
    Saverio Altamura e Pasquale Villari: fu quest’ultimo, allievo del letterato De Sanctis, il principale ispiratore di tutta la prima produzione artistica morelliana (ascrivibile agli anni di formazione tra 1845 e 1855) nonché consigliere di quella subito seguente che prese poi il nome di verismo storico, all’insegna cioè della obiettiva restituzione della verità dei fatti rappresentati (secondo il celeberrimo motto «rappresentar figure e cose, non viste, ma vere»): primo esempio di questa
    nuova poetica fu l’acclamatissima opera Gli iconoclasti.
    Un secondo punto di riferimento per l’attività del Morelli fu senza dubbio il grande Giuseppe Verdi, conosciuto a Napoli già nel 1845: da quest’amicizia nacque non solo una fitta corrispondenza ma anche una serie di dipinti legati al mondo del teatro, come I Vespri siciliani, nonché un faticoso Ritratto del compositore (alla cui elaborazione partecipò anche Filippo Palizzi) completato solo negli anni Settanta. In quello stesso decennio prese avvio del resto la fase orientalista della produzione morelliana, pesantemente filtrata dall’influenza dell’arte di Mariano Fortuny, durante la quale furono partoriti veri e propri capolavori quali il Bagno turco e Le tentazioni di S. Antonio, pervasi dalla raffinata sensualità tipica del pittore spagnolo e pertanto allora oggetti di aspre critiche, in quanto accostati all’arte “di moda”.
    Da sempre convinto avversario di un certo vetusto accademismo, soprattutto tra le mura delle scuole d’arte, Morelli s’impegnò fin dal 1868 (anno della nomina a titolare della cattedra di pittura) nella riforma del Real Istituto di Napoli in collaborazione con Filippo Palizzi, e sempre con quest’ultimo fu costretto poco più di dieci anni dopo a rassegnare le dimissioni per contrasti interni al collegio accademico (vi tornò comunque tempo dopo su richiesta del citato Villari,
    ministro della Pubblica Istruzione nel biennio 1891-1892); nel 1882 dunque il Morelli passò alla direzione del neonato Museo artistico industriale.
    Nonostante i numerosi e prestigiosi incarichi il nostro non si sottrasse mai all’attività pittorica, che anzi divenne allora una rilassante fuga dagli obblighi giornalieri. Gli ultimi decenni del Morelli furono dedicati quasi per intero allo sviluppo di tematiche religiose, soprattutto la vita di Cristo e la raffigurazione della Vergine, quest’ultima declinata secondo un’intonazione molto intimistica e familiare: ne è un esempio la Madonna della Scala d’oro dipinta per le nozze del Villari; un’ulteriore ispirazione venne poi dall’opera che già affascinava numerosi artisti coevi, Gli amori degli angeli di Thomas Moore: in vero la rappresentazione di soggetti angelici portò come conseguenza una trasformazione anche nello stile pittorico dell’artista, che attraverso l’uso dell’acquerello si fece sempre più evanescente e rarefatto.
    L’ultima grande opera di Morelli fu la partecipazione alle illustrazioni per la Bibbia di Amsterdam, compito cui fu chiamato insieme ad artisti del calibro di Michetti e Segantini (i tre avevano ottenuto i premi più importanti alla prima
    Internazionale di Venezia del 1895); la prima edizione della mastodontica opera fu pubblicata nel 1901, ma il nostro non fu in grado di riceverne una copia, spegnendosi prima per crepacuore.
    Con la scomparsa di Morelli terminò anche la curatela dell’importante collezione di Giovanni Vonwiller (suo antico amico e mecenate che aveva anche ricoperto un importante ruolo nella fondazione e nel sostentamento della Società
    Promotrice di Belle Arti) di cui l’artista guidò fin dall’inizio la costituzione, così che ne andarono in asta a Parigi tutte le opere, compresi capolavori morelliani unanimemente celebrati quali La barca della vita (Allegoria della vita umana, in collezione privata) e I profughi di Aquileia (ora alle Gallerie dell’Accademia di Napoli).
    Fu solo un caso dunque se in un museo finì l’opera acquistata da Vonwiller e non questa proposta, di fatto gemella della prima in ogni aspetto. Il soggetto fu descritto dallo stesso autore in una lettera indirizzata al Villari nel 1860, anno
    che si pone dunque come termine ante quem dell’esecuzione (almeno di quella originale, di fatto non distinguibile con certezza): gli abitanti di Aquileia, fuggiti dalla città ormai sotto il controllo di Attila, navigano su imbarcazioni
    di fortuna verso nuovi lidi (e difatti sono tutti protesi a cercar terra con lo sguardo), e presto attraccheranno sulle isole inabitate della laguna veneta; l’intento simbolico (ripreso del resto da un’opera dell’amico Giuseppe Verdi, l’Attila
    appunto) fu dunque quello di celebrare patriotticamente la fondazione della città di Venezia in opposizione al tiranno straniero, che facilmente poteva identificarsi negli anni di Morelli con l’Impero asburgico. La composizione riprendeva quella della già citata e coeva Allegoria della vita umana, nonché modelli stranieri tra cui subito viene alla mente La Zattera della Medusa di Géricault, certamente vista dall’autore in uno dei suoi viaggi per l’Europa. Adoperando una tavolozza povera di colori, per lo più grigi, tanto che cielo e mare sembrano farsi una cosa sola pervadendo l’atmosfera di una notazione fortemente malinconia (coerentemente al tema trattato), Morelli sostituisce al dipinto rifinito in ogni sua parte l’abbozzo, «estrinsecazione immediata della visione spirituale fissata con i mezzi più brevi nella materia durevole» (parole di Edoardo Dalbono), aprendo le porte ad un’arte nuova e moderna fino ad allora senza precedenti in Italia.

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Informazione asta 16/04/2016 17:00