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RICERCA: palizzi
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888) Cespugli matita su carta, cm 19x33 firmato in basso a sinistra: Palizzi
    Stima minima €600
    Stima massima €900
  • Morelli Domenico (Napoli 1823 - 1901)
    Otello e Desdemona
    olio su tela, cm 22,5x35,5
    Siglato in basso a sinistra: DM
    a tergo: cartiglio Mostra Celebrativa BB.AA. Napoli 1927; timbro Coll. Mele, Napoli.

    Provenienza: Coll. Caporali, Napoli; Coll. A. Gualtieri, Napoli; Coll. E. Mele, Napoli; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni: Napoli Sala Tarsia, 1920; Napoli, 1927; Milano, 1929; Roma, 1953; Napoli, 1955; Napoli, 1958; Napoli, 1961; Napoli, 2005; Napoli, 2006; Napoli, 2010

    Bibliografia:P. Levi, Domenico Morelli nella vita e nell'arte. Mezzo secolo di pittura italiana, Roma-Torino 1906, p.363;
    L’Illustrazione Italiana, n.28, 11 luglio 1920, p.51;
    Conti – Limoncelli, Celebrazione morelliana nella R. Accademia di Belle Arti in Napoli, maggio-luglio 1927, Napoli, p.36;
    A. Conti, Domenico Morelli, Ruggiero, Napoli 1927, tav. XVI;
    Maestri napoletani dell’Ottocento nella Collezione Gualtieri, Galleria Scopinich, Catalogo vendita all’asta Milano novembre 1929 n.38, tav. LXXVII;
    Mostra dell’arte nella vita del Mezzogiorno d’Italia, Roma Palazzo delle Esposizioni, marzo – maggio 1953, p.47;
    Mostra pittori napoletani dell’800, Hotel Royal Napoli, giugno 1955;
    L. Autiello (a cura di), La pittura napoletana del secondo Ottocento, Catalogo mostra Promotrice “Salvator Rosa” Napoli Villa Comunale Padiglione Pompeiano, aprile – maggio 1958, tav. XI;
    Maltese – Autiello – Schettini, Filippo Palizzi e Domenico Morelli, Catalogo mostra Villa Comunale di, Napoli 1961, n.104, tav.C;
    A. Schettini, La Pittura napoletana dell’Ottocento, Napoli 1967;
    Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento, n.13, Giorgio Mondadori, Milano, 1984, ill. b/n p. 52;
    R. Caputo, L’Ottocento napoletano nelle collezioni private, Napoli 1999, tav. 17 p. 50;
    L. Martorelli (a cura di), L’Ottocento napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, Catalogo mostra Modena 2003, p.XI;
    L. Martorelli – R. Caputo, La Pittura italiana dell’Ottocento nelle collezioni private italiane. L’Ottocento Napoletano dalla veduta alla trasfigurazione del vero, Catalogo “Vittoria Colonna”, n.11, Napoli 2003, p. XI;
    L. Martorelli (a cura di), Domenico Morelli e il suo tempo 1823-1901. Dal Romanticismo al Simbolismo, Catalogo mostra Napoli 2005-2006, tav. 55 pp. 124-125;
    Casa d’Aste Vincent, Catalogo vendita all’asta, Napoli 12/03/2010 n.32, lotto 299; Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana Ottocento – primo Novecento, n.40, Milano 2011, p. 383;
    G.L. Marini, Il valore dei dipinti dell’Ottocento e del primo Novecento, ed. XXIX, Torino 2011/2012, p. 535;
    R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore,
    Sorrento (NA) 2017, p.17;

    L’Otello uccide Desdemona fa parte dei dipinti a soggetto letterario di Domenico Morelli, tipici degli anni Sessanta e testimonia il suo interesse per i drammi di Shakespeare e in generale per la letteratura straniera, i cui temi furono il nerbo della riforma della pittura di storia, operata da Morelli stesso, in direzione di una prospettiva veristica.
    “Morelli dotato di prodigioso istinto pittorico, dominava i poeti che leggevamo insieme. E chi potrebbe ridire degli entusiasmi in noi destati dalla lettura di Dante, di Shakespeare, di Schiller, di Byron?”. Cosi Saverio Altamura descriveva, nel 1847, la scoperta della letteratura straniera da parte dei pittori che cominciavano ad allontanarsi dai precetti e dalle lezioni dell'Accademia di Belle Arti di Napoli per avvicinarsi alla scuola di Francesco De Sanctis. Nel caso di Morelli l'avvicinamento ai nuovi insegnamenti fu senz'altro dovuto anche alla frequentazione letteraria con Pasquale Villari, suo futuro cognato in quanto fratello di Virginia, che sposò successivamente il Morelli. Dall'entusiasmo per la letteratura straniera e dalla prolifica fantasia di Morelli, nacquero dunque due piccole opere (oltre alla presente anche Otello contempla il cadavere di Desdemona), quasi due fotogrammi, dedicati agli ultimi attimi della tragedia di Otello e Desdemona. Rispetto alle opere degli anni Cinquanta, in cui era predominante il carattere descrittivo che indicava una chiara leggibilità del soggetto, in quelle del decennio successivo, cui appartiene il nostro Otello, domina la valenza del sentimento che rende chi guarda partecipe del dramma che si sta consumando.
    La veloce e impetuosa pennellata di questo dipinto, che fa uniche le opere di Morelli, carica di pathos, è essa stessa esplicativa dei messaggi interni della scena, del suo tempo narrativo e di tutto il dramma che in essa si riassume.
    Stima minima €6000
    Stima massima €9000
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888) Pastorella con pecore
    olio su tavola, cm 40,5x31,5
    firmato in basso a destra: Palizzi
    Stima minima €3500
    Stima massima €5500
  • Celentano Bernardo (Napoli 1835 - Roma 1863)
    Francesco di Paola Borbone Conte di Trapani
    olio su tela, cm 35x20
    firmato in basso a destra: B. Celentano

    Provenienza: Coll. Sellitti, Genova; Coll. privata, Napoli.

    Bibliografia: A. Schettini, La pittura napoletana dell’ottocento, Napoli 1967, p.311; A. Schettini, La pittura napoletana dell’ottocento, Napoli 1973, p.311; Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento n.24, Mondadori, Milano 1995, p. 95; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.20.

    Bernardo Celentano, allievo di Camillo Guerra presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli, fece il suo esordio artistico alla Mostra borbonica del 1851, conseguendo negli anni successivi diversi riconoscimenti. Dal 1852 cominciò a frequentare la scuola privata di Mancinelli, dedicandosi al nudo. A Roma, dove si reca a giugno del 1854 rientrando poi a Napoli a settembre, approfondì lo studio della pittura antica e moderna ed entrò in contatto con Overbeck e i pittori nazareni, essendo amico del pittore Achille Vertunni. A partire dal 1854 Celentano strinse un intenso sodalizio con Domenico Morelli che ne influenzò la maturazione artistica. Con quest’ultimo si recò a Firenze nel ’55 dove frequentò il Caffè Michelangelo e cominciò ad interessarsi alla poetica del “vero”, senza tuttavia rinnegare il bagaglio dell’Accademia: la prospettiva, lo studio delle luci, l’uso di sfondi di paesaggio all’aperto e la cura filologica delle ricostruzioni d’epoca. Nel 1856 in Lombardia e nel Veneto studiò i coloristi del Cinquecento e conobbe Stefano Ussi a Padova e i fratelli Induno a Milano. Tornò a Roma nel 1857 per continuare il Cellini iniziato l’anno precedente, fissando il proprio studio al n.33 di via Margutta. In quel periodo eseguì numerosi ritratti, come quello della Marchesa Ferrarelli e dei pittori Ruggiero e Morelli, senza dimenticare la ricca produzione di quadretti di genere commissionatigli dagli stranieri e che dovette essere per l’artista una fonte cospicua di guadagno.
    In quel periodo, tra il 1857 e il 1859, va collocato il ritratto di Francesco di Paola Borbone conte di Trapani (1827-1892), che era il più giovane dei fratelli di Ferdinando II e zio di re Francesco II, che seguirà con i gradi di generale a Gaeta, rimanendogli fedelmente accanto fino al crollo del Regno delle Due Sicilie. (Cfr. R.M. Selvaggi, I Borbone. Viaggio nella memoria 1734-1861. Album di famiglia, Mostra Belvedere di S. Leucio 2000/2001, foto in b/n a p.104).
    Mentre il Morelli si rifugiava nell’interpretazione poetica dei fatti storici e religiosi, in quell’atmosfera di leggenda di cui sapeva avvolgere i suoi racconti, e il Toma trovava nella narrazione di un fatto contemporaneo la possibilità di far coincidere la descrizione realistica con l’emozione di sentimenti attuali, e il Palizzi si contentava di copiare umilmente la natura contrapponendo la semplicità d’una foglia alle macchine accademiche, il Celentano continuava a dibattersi nell’equivoco, in una posizione antistorica, consumandosi nel vano tentativo di adattare la nuova alla vecchia pittura.
    Dal 1860 cominciò ad approfondire lo studio delle espressioni psicologiche dei suoi personaggi, passando dalle grandi composizioni a scene concentrate con pochi personaggi e alle rappresentazioni d’interni avvicinandosi al Toma. La sua opera più importante, Il Consiglio dei Dieci, fu esposta a Firenze nel 1861, consacrando il Celentano fra i più moderni pittori di storia.
    All’Esposizione Universale del 1867 fu inviata l’ultima sua tela incompiuta, il Tasso a Bisaccia.
    Stima minima €3500
    Stima massima €5500
  • Mancini Francesco detto Lord (Napoli 1830 - 1905)

    Alle corse in carrozza
    olio su tela, cm 103,5x71
    firmato e datato in basso a destra: F.Mancini 1898

    Provenienza: Galleria Dorotheum, Vienna; Coll. privata, Napoli

    Esposizioni:Galleria Dorotheum, Vienna, 2015.

    Bibliografia:Galleria Dorotheum, Catalogo asta Vienna 23/04/2015, p. 17 lotto 1107; Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento – primo Novecento, n.44, Milano 2016, tav. a colori p. 76 e ill. b/n p. 433; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.217.

    Lasciati i paesaggi e le liriche d’impronta palizziana, stabilito un andirivieni tra Napoli, Parigi e Londra, Francesco Mancini comincia a dipingere saggi di vita, operando una vera e propria svolta in sintonia con la strada tracciata da Giuseppe De Nittis, nel ritrarre le corse dei cavalli e dei raduni borghesi nei bois o tra i boulevards. Mancini fu un appassionato studioso del cavallo, che amò e ritrasse come pochi, penetrando i segreti di quella struttura che alterna solidità ed eleganza. In particolare non mancò di una particolare grazia quando arricchì la sua produzione di episodi schiettamente locali e tradizionali come il saluto alla primavera dato dagli equipaggi alle corse di aprile. All’Esposizione Nazionale di Roma del 1883, Mancini presenta tre dipinti: due paesaggi e un terzo quadro, Ritorno alle corse, probabilmente da identificare con quello oggi in collezione Banco di Napoli, di cui il nostro Alle corse in carrozza, replica l’equipaggio centrale, ambientando la scena, con un forte gioco di contrasti cromatici e una pennellata rapida, nella piana di Agnano (bonificata nel 1866 e che da allora ospita l’ippodromo cittadino), dove l’alta società e la borghesia del tempo si incontravano in occasione della corsa dei cavalli.
    Questa nuova fase pittorica di Mancini, successiva all’interesse per il paesaggio dal vero riscontrabile nelle opere dei primi anni della sua produzione e a quello per i quadri di storia contemporanea, è caratterizzata soprattutto dall’attenzione per i soggetti d’attualità mondana, come lo sport, la caccia, le corse, rappresentati in una chiave sentimentale attraverso l’incanto della luce nella sua atmosfera.
    Alle corse in carrozza, una bella scena mondana, è realizzato con l’uso soprattutto dei bruni e delle terre, in contrasto con la luminosità dei toni del cielo. Mancini colloca al centro del quadro il “motivo” della carrozza e attraverso una “calligrafia puntuale” restituisce alla scena l’idea del movimento, accentuata anche dall’animazione degli altri equipaggi sullo sfondo della composizione. Cosicché nella lettura di questo sensibilissimo dipinto è facile ritrovare quell’intimo
    sentimento che vive in natura e che quando la mano dell’artista è felice, si trasforma in Arte.
    Così che ancora oggi ci giungono alcuni riverberi di quell’artista che in un momento di grazia, ci ha lasciato, fra nota e nota, colore e colore, una testimonianza che sta al di là della tecnica, poetica o pittorica, poiché è un soffio creatore, capace di produrre quel brivido e quel palpito, anche quando la mano che allineò quelle emozioni si fermò per sempre. (Cfr Limoncelli, Onoranze a Lord Mancini, 1905)
    Stima minima €25000
    Stima massima €35000
  • Maldarelli Federico (Napoli 1826 - 1893 )
    Vanità
    olio su tela cm 86x67,5
    firmato, iscritto e datato in basso a sinistra: Fed. Maldarelli Napoli 1875


    Pittore e scultore, Federico Maldarelli fu avviato all’arte dal padre Gennaro, quindi divenne allievo di Costanzo Angelini. Coetaneo ed amico di Domenico Morelli, il nostro non prese però parte alla rivoluzione artistica che quello andò realizzando a Napoli con Filippo Palizzi, preferendo ostinatamente fino alla fine un accademismo di stampo fortemente neoclassico, i cui soggetti furono per lo più religiosi all’inizio, quindi di gusto neopompeiano, come l’opera in asta dimostra. L’attaccamento agli antiquati dittami stilistici di tradizione tardo-settecentesca non portò fortuna a Maldarelli in patria, ma gli fece riscuotere un grande successo all’estero, ove del resto spopolava appunto Jean-Léon Gérôme.
    Stima minima €4000
    Stima massima €6000
  • Palizzi Nicola (Vasto 1820 - Napoli 1870)
    Il Convento di Vasto
    olio su carta rip. su tela, cm 23,5x36
    siglato in basso sinistra: N. P.
    Base asta €1000
    Stima minima €1500
    Stima massima €2000
  • Palizzi Francesco Paolo (Vasto, CH 1825 - Napoli 1871)
    Natura morta con pesci
    olio su tela, cm 32,5x40
    firmato in basso a sinistra: Fran. Paul Palizzi

    Provenienza: Coll. A. Portolano, Milano; Coll. privata, Napoli

    Bibliografia: A. Schettini, La Pittura napoletana dell’ Ottocento, Napoli 1967; I vol, p.199; A. Schettini, La Pittura napoletana dell’Ottocento, Napoli 1973; I vol, p.199; Catalogo Bolaffi dell’Arte italiana dell’Ottocento, n.12, Giorgio Mondadori, Milano, 1983, ill. b/n p. 261; Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento n.24, Mondadori, Milano 1995, ill. b/n p. 173; R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.132.

    Abbandonata l’idea di diventare un pittore di quadri di storia, Francesco Paolo Palizzi dalla pittura di Gennaro Guglielmi (1804-1837) che, sull’esempio di Salvatore Giusti (attivo a Napoli tra il 1815 e il 1845), aveva ravvivato il gusto per la composizione di nature morte. Inizialmente Francesco Paolo Palizzi elabora i dati dal vero con un chiaroscuro piuttosto cupo, di tipo seicentesco. In seguito, con le nuove peculiarità naturalistiche perseguite dal fratello Filippo, i suoi quadri gradualmente si illuminano sempre più, con il gioco delle ombre reso più lieve, i colori più vivi, la pennellata più rapida, la pittura più brillante. Un fresco realismo identifica in particolare questa Natura morta con pesci che, per dirla con il Somaré, fa ravvisare nell’opera del Palizzi la perizia di un seicentista attualizzato (Somaré, La pittura italiana dell’Ottocento).
    La pittura di Francesco Paolo è raramente reperibile in Italia, sia perché gran parte di essa è rimasta in Francia, ove egli operò per un ventennio, dal 1848 al 1869 fino agli albori della guerra franco-prussiana, sia per la brevità della vita stessa dell’artista. Ma le sue rare opere note bastano per assegnargli un ruolo importante nell’ambito della pittura del XIX secolo, che egli contribuì validamente a modernizzare, partecipando attivamente a quel processo di rivalutazione cui avevano dato abbrivio i petits maitres olandesi e fiamminghi e grazie al quale la natura morta si sarebbe riscattata dalla soggezione gerarchica nei confronti degli altri “generi”, divenendo essa stessa pittura di valori.
    Stima minima €6000
    Stima massima €8000
  • Monografie Il lotto comprende: a) MONOGRAFIE SALVATORE DI GIACOMO, DOMENICO MORELLI. ROMA-TORINO, ROUX & VIARENGO, 1905 b) ESPOSIZIONI MOSTRA DI FILIPPO PALIZZI E DOMENICO MORELLI. CATALOGO CON SCRITTI DI LUIGI AUTIELLO, FELICE DEFILIPPIS, CORRADO MALTESE, PAOLO RICCI, ALFREDO SCHETTINI. NAPOLI,1961.
    Stima minima €125
    Stima massima €200
  • Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899)

    Nella stalla olio su tela, cm 51x74
    firmato e datato in basso a destra: Fil. Palizzi 1862
    a tergo cartiglio Mostra Commemorativa del Cinquantenario - Dicembre 1934

    Provenienza: Gran. Uff. Giorgio Mylius, Milano; coll. privata, Napoli

    Esposizione: Milano 1934

    Bibliografia: Cat. Mostra Commemorativa del Cinquantenario, Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente Milano, Dic. 1934 , Sala II n. cat. 59 pag. 19; Pitture e sculture , Saletta Gonnelli , Firenze; I Grandi Pittori dell'ottocento italiano, A. Schettini, La scuola napoletana, A. Martello Ed. Milano 1961 tav. XVI a colori

    Protagonista insieme a Domenico Morelli della rivoluzione artistica che in seno alla scuola pittorica napoletana sconvolse l’accademismo imperante dell’epoca in nome di una rappresentazione rigorosa del vero naturale (e di tutte le sue eventuali storture), Filippo Palizzi si dedicò all’en plein air fin dai suoi primi passi nel mondo dell’arte (negli anni Trenta cioè dell’Ottocento), e già in aperta polemica con la pittura di composizione e cioè sostanzialmente di invenzione.
    L’attenzione al tema animale, caratteristico della produzione dell’artista, si svolge nel corso di questa secondo un evoluzione che da prime opere ancora vagamente convenzionali, passando per qualche studio “fisiognomico”, in cui cioè l’animale è declinato secondo tipi psicologici più prettamente umani, giunge a felici risultati in cui al soggetto ferino è assegnata pari dignità rappresentativa di qualsiasi altro tema pittorico (come il Palizzi ebbe a sostenere anche in alcuni suoi scritti).
    Ecco allora fiorire intorno agli anni Sessanta del secolo una serie di dipinti di minori o maggiori dimensioni, ma tutti di indubbia qualità, che ripropongono ovini ed equini (asinelli specialmente) ritratti nel loro habitat più proprio, ove l’umano, il pastore o magari la pastorella, s’introducono non per asservire ma per “servire” i propri animali, nutrendoli con ricchi fasci d’erbe che pure vengono ripresentate dall’autore in più tele (si ricordi qui solamente il bel ‘Fascio d’erba di primavera’ alla GNAM di Roma).

    L’attenzione alla resa luministica, pure centrale nella ricerca artistica del Palizzi, si declina in questo periodo secondo una minuziosa registrazione micrografica di ogni singolo effetto di luce sul vello e sugli scattanti muscoli degli animali rappresentati, in una presa di distanza dunque (che comunque non può considerarsi voluta) dai più sintetici risultati che al tempo cominciarono a fare capolino sulla scia dei movimenti artistici parigini, coi quali del resto Filippo pure ebbe contatti per tramite del fratello Giuseppe, definitivamente stabilitosi in Francia fin dal 1844 e membro attivo della Scuola di Barbizon.
    Esemplare di spicco di questo vario e notevole filone pittorico, la tela proposta s’arricchisce di ulteriore prestigio con la sua provenienza. Il Grand’Ufficiale Giorgio Mylius, riportato come proprietario dell’opera sul cartiglio che essa reca con sé (e che ne testimonia poi l’esposizione alla Mostra celebrativa del cinquecentenario della Società per le Belle Arti di Milano, di cui il Mylius fu allora anche Presidente del Direttivo), fu l’ultimo membro maschio di una potente famiglia di imprenditori d’origini austriache che fin dalla fine del Settecento promosse di Milano tanto lo sviluppo economico (furono impegnati allora per lo più nella produzione e nel commercio tessile) che quello culturale: la loro villa sul Lago di Como (oggi sede del centro italo-tedesco per l’eccellenza europea) fu centro di raccolta di una ricchissima e raffinata collezione d’arte, nonché ospitò numerosi intellettuali tedeschi ed italiani di prim’ordine, quali Goethe e Manzoni.
    Stima minima €25000
    Stima massima €45000
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888)
    Pastorello con caprette
    olio su tela cm 34,5x47
    firmato in basso a destra: G. Palizzi
    a tergo cartiglio Bottega d'arte Livorno, Montecatini Terme

    Provenienza: Coll. privata, Modena


    Avviatosi in età più tarda della norma (grazie ad una speciale dispensa) agli studi di pittura presso il Real Istituto di Belle Arti di Napoli, l’abruzzese Giuseppe Palizzi (il maggiore per età fra i celebri fratelli) ebbe per maestri sia Anton Sminck van Pitloo che Gabriele Smargiassi, trovandosi dunque avviato tanto ad i quadri di composizione d’impronta certamente più tradizionale che alle novità portate nella pittura di paesaggio dalla Scuola di Posillipo. Con Smargiassi tuttavia vennero a svilupparsi dissidi (tanto per motivazioni politiche che estetiche) via via sempre più insostenibili, finché Palizzi prese la decisione di lasciare la Capitale delle Due Sicilie e l’ambiente accademico a lui odioso per stabilirsi in via definitiva a Parigi, già al tempo centro nevralgico di tutta l’arte e la cultura europea: questo trasferimento, combinandosi ad i contatti con la madrepatria che il nostro non interruppe mai del tutto, scambiandosi molte lettere col fratello Filippo (che a Napoli diede il via insieme a Domenico Morelli ad una radicale rivoluzione in ambito artistico), si rivelò in seguito salvifico per i tanti conterranei che si mossero via via alla volta della Francia, trovando in Giuseppe un punto di riferimento stabile e sempre disponibile.
    In Francia Palizzi preferì comunque agli agi ed all’eleganza della Capitale dimorare presso Passy, nelle vicinanze della foresta di Fontainebleau, ove erano già soliti riunirsi gli esponenti della Scuola di Barbizon, coi quali dunque il nostro costruì un duraturo sodalizio, tanto sul piano più propriamente sociale (cioè amicale) che su quello estetico, ritrovando in essi gli stessi ideali di adesione al vero in ambito artistico che come s’è accennato il fratello propugnava in Italia. Questa comunione d’intenti tuttavia non pare oggi essersi sempre realizzata pienamente, poiché capita di sovente di rintracciare nei dipinti di Giuseppe Palizzi un vago lirismo che tende all’idillio e che ricorda così più le poetiche dei posillipisti che i più aggiornati esiti pittorici dei barbizonnier: ecco allora che nell’opera proposta il giovane pastorello, dal canto suo già in atteggiamento sufficientemente trasognato, sembra con-fondersi fra le sue caprette, che a loro volta poi lo ricambiano con sguardo dubbioso ed insieme quasi ammiccante, come se allo stesso tempo s’interrogassero sui pensieri del loro padrone eppure ne conoscessero già la più intima natura.
    Stima minima €9000
    Stima massima €14000
  • Monografie Il lotto comprende: a) MONOGRAFIE: Franco Di Tizio, FRANCESCO PAOLO MICHETTI NEL CINQUANTENARIO DELLA MORTE, Pescara 1980 b)MONOGRAFIE: Paolo Ricci I FRATELLI PALIZZI 1960, Milano, Bramante Editrice
    Stima minima €125
    Stima massima €200
  • Palizzi Nicola (Vasto - CH 1820 - Napoli 1870)
    Paesaggio campestre
    olio su tela cm 120x105
    firmato in basso al centro: Nicola Palizzi
    Provenienza: Coll. privata, Milano


    Sebbene parecchio più piccolo per età del fratello Giuseppe, Nicola Palizzi pure fu allievo di Gabriele Smargiassi, trovandosi pertanto diviso nella sua prima fase produttiva fra una sorta di paesaggismo storico (genere rinverdito da Massimo d’Azeglio) e l’adesione a certi ideali della Scuola di Posillipo: egli sembra riuscì tuttavia, forse più e meglio dei suoi più celebri fratelli, a coniugare queste due tendenze apparentemente tanto distanti fra loro, pervenendo ad esiti nuovi ma indiscutibilmente armonici. Dell’influsso di Giuseppe, e più in generale dei barbizonnier coi quali egli s’era legato sia personalmente che artisticamente in Francia, Nicola risentì appunto nel periodo del suo soggiorno parigino, durante il quale il nostro rafforzò la propria visione estremamente sintetica della realtà, interpretata e resa sommariamente in pittura tramite macchie di colore a corpo: una tecnica insomma, che lo allontanava radicalmente dalla minuziosa precisione del fratello Filippo, anticipando piuttosto le soluzioni che poco più tardi avrebbero adottato i rappresentanti della Scuola di Resina nonché Michele Cammarano.
    La tela in asta, di grandi dimensioni come piaceva all’autore, riesce evidentemente e felicemente nell’intento di cui s’è prima accennato, cioè «condensare in positivo tutte le esperienze precedenti: dal paesaggio accademico alla capacità di introspezione dei luoghi; dalle atmosfere rosate dei tramonti posillipistici all’analisi calligrafica del “vero” attraverso il dosaggio della luce», come appunto ha avuto modo di notare Rosario Caputo circa l’intrinseca originalità ed il mai sufficientemente riconosciuto talento di Nicola Palizzi.
    Stima minima €15000
    Stima massima €25000
  • Rossano Federico (Napoli 1835 - 1912)
    Neve
    olio su tela, cm 45x60 firmato in basso a destra: Rossano
    a tergo cartiglio Mostra del paesaggio napoletano dell'Ottocento A. XIV
    Provenienza: Coll. privata, Modena
    Esposizioni: Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, Napoli settembre 1936
    Bibliografia: Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, Napoli 1936, pag. 86; R.Caputo, Federico Rossano, Grimaldi C. Ed. Napoli 2000 tav XXXIII


    Da paesaggista attivo a Napoli e dintorni nel corso del secolo diciannovesimo Federico Rossano non poté che ispirarsi innanzitutto alla temperie della grande Scuola di Posillipo, di cui riprese appunto un certo afflato lirico, finendo poi per farsi notare finanche dal celebre maestro e caposcuola Giacinto Gigante. La sua strada più propria ed autentica il nostro tuttavia l’intraprese solo allorché, trasferitosi a Portici presso l’amico Marco De Gregorio, con questi ed altri artisti (Belliazzi, De Nittis, Campriani, per citarne giusto qualcuno) diede il via al movimento noto quale Scuola di Resina o Repubblica di Portici; fin dal manifesto i sodali affermavano la necessità del rappresentare la natura così com’era, senza alcun orpello intimista: un principio, insomma, che portando ad estreme conseguenze la lezione che già da un po’ propugnava Filippo Palizzi appare diametralmente opposto alla pittura si sentimento caratteristica dei posillipisti.
    Nei fatti tuttavia risulta difficile non ritrovare nei dipinti di Rossano tracce del suo animo complesso e spesso malinconico (anche a causa del tumultuoso rapporto con i famigliari i quali, non accettando la sua vocazione alla pittura, lo relegarono ad uno stato di semi-diseredato). Quando difatti l’autore si trasferì in Francia nel corso degli anni Settanta dell’Ottocento, egli trovò una collocazione ideali fra i membri della Scuola di Barbizon, i quali predicavano una stretta vicinanza fra uomo e Natura, se non una vera e propria comunione per cui il primo finiva per confondersi nell’altra. L’opera proposta appartiene certamente a questo periodo trascorso nelle terre d’Oltralpe, ma non solo per la sottile tristezza che pare qui e là trasudare dalla tela, fra gli alberi spogli che sembrano stagliarsi nudi e solitari contro il cielo. Passeggiando per i dintorni di Parigi infatti la tavolozza di Rossano prese a schiarirsi, arricchendosi soprattutto di toni rosei, nella ricerca da parte dell’artista della migliore resa luministica in pittura di specifici momenti della giornata, quali alba e tramonto: pare appunto costituire un buon esempio di questa nuova poetica la tela in asta, in cui l’aurora baluginante a stento riesce ad illuminare e riscaldare la contadinella sveglia ed al lavoro già da tempo, probabilmente diretta al pascolo.
    Stima minima €14000
    Stima massima €18000
  • Palizzi Filippo (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899)
    Pastorella con gregge
    acquerello su carta cm 69x42
    firmato e datato in basso a sinitrsa: Fil Palizzi 1865 ; iscritto in basso a destra: uno dei rari acquerelli di F.Palizzi Migliaro
    Stima minima €8000
    Stima massima €13000
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