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RICERCA: palizzi
  • Monografie Il lotto comprende: a) MONOGRAFIE Angelo Ricciardi, I FRATELLI PALIZZI, Palazzo d'Avalos, Vasto 1989 b) MONOGRAFIE Angelo Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Palazzo d'Avalos, Vasto 1988 c) OPERE GENERALI PESCARA.ARTE E CITTA' FRA 800 E 900, Carsa Edizioni
    Stima minima €125
    Stima massima €200
  • Palizzi Nicola (Vasto, CH 1820 - Napoli 1870) Paesaggio con cavaliere olio su tela, cm 67x105 firmato in basso a destra: N. Palizzi
    Stima minima €18000
    Stima massima €24000
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888)
    Ritorno dai campi
    olio su tela, cm 35x52
    firmato in basso a destra: Palizzi
    a tergo cartiglio: Esposizione VI Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma, Roma 18 Dicembre 1951 - 15 Maggio 1952; cartiglio Esposizione L'Arte nella vita del Mezzogiorno d'Italia, Roma 1953

    Provenienza: Coll. Armiero, Napoli; Coll. privata, Napoli; Coll. privata, Bologna
    Esposizioni: Roma,1951-52; Roma, 1953
    Bibliografia: VI Quadriennale Nazionale d'Arte di Roma, catalogo dell'esposizione, De Luca Editore, Roma, 1951; Mostra dell'Arte nella vita del Mezzogiorno d'Italia, catalogo della mostra Roma Marzo-Maggio 1953, De Luca Editore, Roma, 1953, p. 45


    Quando Giuseppe Palizzi (il maggiore, tra gli artisti della nota famiglia) posò per la prima volta il proprio piede in Francia, tra il 1844 ed il ’45, egli aveva già rotto ogni legame (ufficiale, per lo meno) con la vita artistica di Napoli, ambiente dove il giovane (ma nemmeno troppo, considerando la sua ammissione nel 1835 al Real Istituto di Belle Arti con dispensa sull’età) artista abruzzese oscillò sempre fra il paesaggismo dell’ultima Scuola di Posillipo, allora ormai artefice più che altro di bei manufatti artistici per raffinati turisti, e quello nascente storico-romantico, reagendo dunque rispettivamente agli insegnamenti accademici prima di Anton Sminck van Pitloo, poi di Gabriele Smargiassi.
    Fu tuttavia il progressivo tendersi dei rapporti proprio con quest’ultimo artista, non solo per questioni estetiche ma anche politiche, a spingere in via definitiva il Palizzi al proprio trasferimento.
    Parigi era allora, in quanto centro culturale del tempo, notoriamente meta prediletta di artisti da tutto le parti del globo tanto più per coloro i quali, come Giuseppe, rincorrevano la bella vita ed i gusti più à la page. Il nostro tuttavia prese la felice decisione di trasferirsi in via definitiva a Passy (allora non ancora parte della capitale), nei pressi della foresta di Fontainebleau, ove erano soliti incontrarsi al tempo i membri della scuola di Barbizon (spostatisi da Marlotte): la lunga e solida amicizia che nacque dunque fra costoro ed il Palizzi dipese allora certamente da motivazioni personali e ancora una volta politiche (i barbizonniers furono quasi tutti carbonari, così come i membri della famiglia dell’artista abruzzese), ma fu innanzitutto per la straordinariamente simile ricerca estetica, cioè per l’attento studio del vero naturale, che Giuseppe riuscì a recepire il messaggio di Rousseau, Daubigny, Charles Dupré, ed a farlo proprio.
    Se la definitiva adesione alla scuola di Barbizon si concretizzò con “L’accampamento degli zingari”, notato dai critici del Salon parigino del 1848 (il primo dei tanti cui il Palizzi prese parte) per gli straordinari effetti del chiaroscuro, più tarda deve essere evidentemente l’opera qui in esame. L’impianto chiaroscurale, ben visibile dunque tanto nella seconda che nella prima opera, Giuseppe in effetti lo ereditò da memorie antiche, dal «naturalismo nordico» di cui ha parlato anni fa Roberto Longhi, insomma dalla pittura olandese che storicamente riscontrò particolare e singolare successo presso il gusto dei Napoletani (di più tarda influenza partenopea, in particolare di scuola posillipiana, fu pure del resto la costante tendenza palizziana all’idillio, al trasfigurare cioè romanticamente la semplice vita campestre, come può evincersi qui dalla serena atmosfera in cui stanno sospesi il pastorello con le sue capre); alle calde intensità olandesi, pervase da tinte rugginose, il nostro tuttavia oppose – anche e chiaramente nella tela proposta – la «maggior densità di luci fredde e di ombre vellutate e profonde, giocando fluidamente coi verdi, coi bruni e col nero, a pennellate larghe e costruttive» (Alfredo Schettini), queste ultime senza dubbio mutuate dai sodali francesi.
    Stima minima €6000
    Stima massima €9000
  • Palizzi Nicola (Vasto, CH 1820 - Napoli 1870) Paesaggio olio su carta rip. su tela, cm 22x36 firmato in basso a sinistra: N. Palizzi
    Stima minima €6000
    Stima massima €7000
  • Mancini Francesco (Napoli 1830 - 1905)
    In riva al fiume
    olio su tela, cm 50x87
    firmato e datato in basso a sinistra: F. Mancini 67

    Bibliografia: OTTOCENTO Catalogo dell'arte Italiana dell'Ottocento n. 40, Ed. Metamorfosi Milano 2011, pag. 349 in b/n

    Non sarebbe errato considerare Francesco Mancini quale un predestinato lungo la scia della grande tradizione paesistica di scuola napoletana, quella inaugurata da van Pitloo e dal Gigante: il Mancini infatti già andava rinnovando in senso naturalistico l’opera del suo primo maestro, Gabriele Smargiassi, tralasciando cioè i quadri di composizione (e dunque di invenzione) in favore di una rappresentazione di paesaggi solidamente sorretta da una attenta visione del dato reale, quando l’incontro diretto col geniale “rivoluzionario” Filippo Palizzi, e poi con i vari pittori di scuola calabrese, non fece che confermare e rafforzare le sue precoci ma assai moderne intuizioni; da allora si disse opportunamente di Francesco che egli non dipinse «un albero, una casetta o tutt’altro senza averlo prima studiato dal vero».
    Se dunque nell’opera qui proposta non manca un evidente afflato poetico (che potremmo pure definire romantico, con un certo azzardo), un’impronta cioè delle prime influenze di Smargiassi sull’arte del Mancini, è senza dubbio alla temperie più moderna dell’artista che dobbiamo ascrivere la sua tela: lo spazio ambientalistico infatti richiama appieno i dittami della riforma palizziana, adoperando cioè per lo sfondo una macchia sintetica ed impressionistica, non priva tuttavia di alcune sottigliezze artistiche, mentre appunto emerge con evidente forza sul primo piano una straordinaria cura nella resa di ogni più minimo dettaglio naturalistico, dalle più disordinate masse di arbusti ai singoli e fragili fili d’erba palustre, affinché risulti il più fedelmente possibile restituita la percezione visiva del reale; ancora più sorprendente è l’effetto specchiante del corso d’acqua, volutamente calmo (nonostante le logiche increspature che, causate dalla elementare imbarcazione, dovrebbero agitarlo) per permettere all’autore di far mostra di tutto il suo virtuosismo (contravvenendo, con giocosa immodestia, all’intransigente rigore proprio invece del maestro Palizzi).
    In questo idillico ambiente, fra i suoi colori (e quasi potremmo dire profumi), pure la figura umana, che occupando perfettamente il centro della composizione dovrebbe attirare a sé gli sguardi dei vari spettatori, finisce quasi per scomparire alla vista, non va cioè a disturbare l’immersiva esperienza polisensoriale del paesaggio che si staglia sterminato e selvaggio sotto i nostri occhi.

    Stima minima €8000
    Stima massima €13000
  • Palizzi Filippo attrib. (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899)
    Barone e Baronessa Bourgoing
    coppia di acquerelli su carta, cm 37x26,5
    Stima minima €400
    Stima massima €600
  • Palizzi Filippo (Vasto,CH 1818 - Napoli 1899)
    Ritorno dai campi
    olio su tela cm 65,5x50
    firmato in basso a destra: Fil Palizzi
    a tergo antico cartiglio di esposizione


    Sebbene un po’ l’affetto e un po’ la grande stima riposta nel fratello maggiore Giuseppe condussero Filippo Palizzi ad attribuire proprio a quello il merito d’aver rinnovato la pittura di paesaggio nella Napoli dell’Ottocento, fu in vero e notoriamente il quintogenito della famiglia di artisti a cambiare profondamente certe tendenze artistiche del tempo, dando in (gran) parte origine a quella che, nella prima Esposizione Nazionale del 1861 a Firenze, sarà identificata come una nuova scuola napoletana (sebbene non fosse poi del tutto esatto il termine), tutta tesa allo studio del vero. È allora felice coincidenza ritrovare nell’opera proposta tutti gli elementi più caratteristici della svolta artistica data dal Palizzi all’arte del suo tempo. La rappresentazione animale innanzitutto, prima cifra del suo fare rivoluzionario, allorché già nel primo saggio accademico (“Vacche ritratte dal vero”, 1838) egli elevò «ad artistica nobiltà soggetti sino allora ritenuti inferiori» (Alfredo Schettini); nei primi tempi comunque egli probabilmente ricorse per la trascurata (come detto) animalistica più che altro a repertori di incisioni, tuttavia i successivi e lunghi studi dal vero (su tutti i costanti soggiorni a Cava dei Tirreni fin dal 1847) finirono per convincerlo della individualità (di «forma, colore, indole», usando parole sue) e quindi della dignità d’ogni creatura ferina d’esser rappresentata nel proprio ambiente, in modo cioè del tutto simile all’uomo (in effetti l’indagine palizziana sulla figura umana era allora già pervenuta ai suoi migliori risultati, se già avevano avuto pubblicazione le sue numerose illustrazioni a corredo del libro di De Boucard “Usi e costumi di Napoli e contorni”, tra 1853 e ’58). L’interesse generale per questi soggetti, comunque, potrebbe forse ascriversi al tempo trascorso in tenera età modellando figurine per il presepio di casa Palizzi, attività che dunque spiegherebbe anche quel realismo minuto, quell’arte quasi sempre di piccole proporzioni propria di Filippo. Quanto infine allo sfondo, sebbene non manchino note e straordinarie opere del Palizzi che non hanno altro protagonista che il paesaggio, si dovrebbe considerarlo nel nostro caso più che altro sussidiario alla fine realizzazione delle figure in primo piano; si badi tuttavia a mai confondersi con una fantomatica trascuratezza, pure avanzata erroneamente da alcuni critici: l’ambiente paesistico sempre offrì anzi a Filippo l’occasione di mostrare la sua personalissima concezione della pittura di macchia, all’insegna sì della «totalità», cioè dell’impressione di insieme, ma sempre da completarsi con delle «finezze», cioè con la resa (a volte davvero micrografica) di ogni minima sottigliezza percettiva.
    Stima minima €6000
    Stima massima €9000
  • Palizzi Filippo, attribuito (Vasto, CH 1818 - Napoli 1899) Capretta olio su tela, cm 12,6x16,5 a tergo iscritto: dipinto di Filippo Palizzi, G. Casciaro
    Stima minima €800
    Stima massima €1200
  • Dalbono Edoardo (Napoli 1841 - 1915)
    Da Frisio a Santa Lucia
    olio su tela, cm 59x93

    L’opera proposta riprende uno schema compositivo del Dalbono che ebbe grande successo e fu pertanto replicato più volte. Sappiamo dal Giannelli infatti che in origine l’artista ricevette la commissione dal collezionista svizzero Fierz, per il quale Edoardo già aveva realizzato “Una tarantella a Posillipo”, “Il funerale della Zita”, “Le streghe di Benevento”, “Un idillio dal Gessner”, “Una veduta di Nisida”, “Capo Miseno” e vari acquarelli dal titolo sconosciuto;l’opera completa, tuttavia, fu con “Tarantella” esposta alla Promotrice di Napoli del 1866, dove suscitò l’ammirazione del re Vittorio Emanuele II che volle assolutamente acquistarla per destinarla al Museo di Capodimonte (ove tuttora si conserva); il signor Fierz s’accontentò allora di una copia, che noi sappiamo essere solo la prima, si diceva, di alcune custodite presso prestigiose raccolte private. La scena si ricollega alle celebrazioni dell’importante Festa partenopea di Piedigrotta (che cade tradizionalmente l’ottavo giorno di Settembre) e si colloca così fra i primi esempi di quel che diverrà poi un genere pittorico a sé, spiccatamente folclorico, la “canzone sul mare” (denominazione che richiama da un lato i pescatori la cui Confraternita aveva il compito di assistere alle processioni nel giorno della Festa, dall’altro il Festival della canzone napoletana che prese ad organizzarsi in contemporanea a Piedigrotta proprio a partire dai primi decenni del diciannovesimo secolo). Pertanto il soggetto principale dell’opera è una barca votiva che sembra portare alla deriva i partecipanti alla Festa ormai sfiniti dopo la conclusione delle celebrazioni, mentre sullo sfondo può scorgersi la linea di costa del golfo di Napoli che va da Castel dell’Ovo a Posillipo; le scelte luministiche tuttavia sono assolutamente irreali e tutta la composizione risulta quindi quasi sottratta alle normali dimensioni di tempo e spazio per essere trasportata su un piano onirico e mitico: al momento della realizzazione della tela dunque Dalbono doveva aver già superato evidentemente la sua prima fase artistica all’insegna delle influenze del Mancinelli, per volgersi invece verso i dittami tanto della Scuola di Posillipo che di Nicola Palizzi (suo maestro); dalla medesima tendenza a poetizzare il dato reale nascerà in seguito l’assoluto capolavoro del Dalbono, di insuperato successo, “La leggenda delle sirene” (1871).
    Stima minima €3000
    Stima massima €5000
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano 1812 - Passy 1888) Paesaggio con mucche olio su tela cm 23x30 firmato in basso a destra: Palizzi
    Stima minima €3500
    Stima massima €4000
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888) Al pascolo olio su tela, cm 60x53 firmato in basso a destra: Palizzi Provenienza: Coll privata, Roma
    Stima minima €4500
    Stima massima €6500
  • Milone Antonio (Attivo nel XIX secolo) Giovane pastorello, olio su tela, cm 51x77,5 datato e iscritto in basso a sinistra: a Filippo Palizzi 1865
    Stima minima €1000
    Stima massima €2000
  • Palizzi Giuseppe (Vasto 1812 - Passy 1888) Ozii campestri olio su tela, cm 32,5x50 firmato in basso a destra: Palizzi
    Stima minima €18000
    Stima massima €24000
  • Morelli Domenico (Napoli 1823 - 1901) Otello e Desdemona olio su tela, cm 22x35 firmato in basso a sinistra: Morelli a tergo: cartiglio Mostra Celebrativa BB.AA. Napoli 1927; timbro Coll. Mele, Napoli.

    Provenienza: Coll. Caporali, Napoli; Coll. Gualtieri, Napoli; Coll. E. Mele; Coll. privata, Napoli 

    Esposizioni: Napoli 1927; Milano 1929; Roma 1953; Napoli 1955; Napoli 1958; Napoli 1961; Napoli 2006

    Bibliografia: P. Levi, Domenico Morelli nella vita e nell’arte, Roma - Torino 1906, p. 363; A. Conti, M. Limoncelli, Celebrazione morelliana nella R. Accademia di Belle Arti in Napoli, maggio - luglio, Napoli 1927, p. 36; A. Conti, Domenico Morelli, Napoli 1927, tav. XVI; Maestri napoletani dell’800 nella collezione Gualtieri, Galleria Scopinich, Milano 1929, n. 38, tav. LXXVII; Mostra dell’arte nella vita del Mezzogiorno d’Italia, Roma 1958, p. 47; La pittura napoletana del secondo Ottocento, a cura di L. Autiello, Napoli 1958, tav. XI; Mostra di Filippo Palizzi e Domenico Morelli, Napoli 1961, n. 104,
    tav. 100; Saverio Altamura pittore e patriota foggiano nell’autobiografia nella critica e nei documenti, a cura di M. Simone, Foggia 1965; L’Ottocento napoletano nelle collezioni private, a cura di R. Caputo, Napoli 1999, tav. 17, p. 50; Domenico Morelli e il suo tempo 1823-1901 dal Romanticismo al Simbolismo, a cura di L. Martorelli, catalogo della mostra di Napoli 2005-06, pp. 124-125 (scheda di V. Maderna).

    L’Otello uccide Desdemona fa parte dei dipinti a soggetto letterario di Morelli tipici degli anni Sessanta e testimonia il suo interesse per i drammi di Shakespeare e in generale per la letteratura straniera, i cui temi furono il nerbo della riforma della pittura di storia, operata da Morelli stesso, in direzione di una prospettiva veristica. A Shakespeare rivolse la propria attenzione anche il Maestro Giuseppe Verdi con il quale Morelli condivise
    un rapporto di vera amicizia e che, circa un ventennio più tardi l’esecuzione di questo dipinto,
    chiese a Morelli di occuparsi nuovamente dell’Otello.
    Rispetto alle opere degli anni Cinquanta, in cui era predominante il carattere descrittivo che indicasse una chiara leggibilità del soggetto, in quelle del decennio successivo, cui appartiene il nostro Otello, domina la valenza del sentimento che rende chi guarda partecipe del dramma che si sta consumando.
    La veloce e impetuosa pennellata di questo dipinto, che fa uniche le opere di Morelli, carica di pathos, è essa stessa esplicativa dei messaggi interni della scena, del suo tempo narrativo e di tutto il dramma che in essa si riassume.

    Isabella Valente
    Stima minima €4000
    Stima massima €8000
  • COLLEZIONI E MONOGRAFIE Il lotto comprende: a) COLL. I GRANDI PITTORI ITALIANI DELL’OTTOCENTO. I FRATELLI PALIZZI A cura di Paolo RicciCollana diretta da Enrico Piceni 1960, Milano, Ed. Bramante Numerose illustrazioni in bianco e nero nel testo. b) MON. Mattia Limoncelli FILIPPO PALIZZI1928, Napoli Numerose illustrazioni in bianco e nero nel testo.
    Stima minima €150
    Stima massima €250
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