Rossano Federico (Napoli 1835 - 1912)
Campagna francese
olio su tela, cm 30,5x44,5
firmato in basso a sinistra: Rossano
Provenienza: Coll. privata, Bologna; Coll. privata, Napoli
Iscritto inizialmente alla Scuola di architettura del Real Istituto di Belle Arti napoletano dal padre, rigido militare a riposo, Federico Rossano prese presto la decisione di frequentare piuttosto i corsi di pittura, suscitando l’indignazione
familiare che, come era tipico tra i borghesi (allora come oggi), teneva in scarsa considerazione chiunque si dedicasse a mestieri che non garantissero una certa e rapida remunerazione. La delicata e difficile condizione tra le mura
domestiche non poté non influire ovviamente anche sulla produzione artistica del giovane autore, che preferì per una prima fase (dalle forti sfumature poetiche) ritrarre paesaggi malinconici, boschi isolati, paludi, rovine, prediligendo i Campi Flegrei.
Nel 1858 Rossano abbandonò gli studi accademici per trasferirsi a Portici dall’amico Marco de Gregorio: fu la svolta che diede i natali alla celeberrima Scuola di Resina, di cui il nostro fu tra i principali rappresentanti. Le numerose opere
realizzate in circa un ventennio circolarono tra svariate esposizioni italiane (comparendo più spesso ovviamente agli eventi organizzati dalla neonata Società Promotrice di Belle Arti di Napoli, di cui Rossano fu socio quasi da subito), conquistando lodi di artisti affermati quali il Gigante e Michele Tedesco, nonché finendo spesso nelle collezioni reali.
Il passo verso il successo internazionale fu breve: all’Universale di Vienna del 1873 fu assegnata una medaglia a Fiera dei buoi a Capodichino, e lo stesso soggetto esposto al Salon parigino del 1876 aprì a Rossano le porte del raffinato ambiente culturale ed artistico della Ville lumiére. L’artista decise infatti di raggiungere l’anno successivo Giuseppe
De Nittis nella capitale francese, entrando così in contatto con intellettuali e pittori quali Boldini e Dégas; ancora più importante fu però la conoscenza del primo Impressionismo, col quale Rossano scoprì d’avere di fatto condiviso i principi tecnici ed estetici praticamente da sempre: era tipico di lui infatti fissare i motivi dei suoi dipinti con grande
immediatezza, per poi concluderli rapidamente e senza sottoporli a successivi ritocchi.
Come per tanti altri artisti coevi trasferitisi all’estero il ricordo della terra natia rimase tuttavia sempre forte, e Rossano inviò spesso proprie opere alle esposizioni italiane, fino a tornare definitivamente in patria nel 1892, calorosamente accolto dai vecchi amici di gioventù. In un mercato locale profondamente cambiato il nostro decise però di non tentare un vero e proprio rientro (comunque mai abbandonando del tutto l’attività pittorica), dedicandosi piuttosto
all’insegnamento di quanto appreso nel corso della sua florida carriera agli allievi delle Belle Arti e della scuola Suor Orsola Benincasa.
Nel soggiorno francese comunque la pittura di Rossano s’era fatta più piacevole (in nome della maggiore serenità, specialmente economica, conquistata dall’autore, allora esposto con costanza nelle vetrine del celebre mercante Goupil),
come subito dimostra del resto l’opera proposta. A Parigi l’artista aggiornò di fatto ai gusti estetici del momento quello spirito che aveva animato (e ancora animava) gli scolari di Barbizon, rifugiatisi nei semplici panorami agresti e silvani per evitare le classicistiche composizioni storiche e la tragicità dei romantici,traendo poi dalla tradizione olandesei tipici contrasti tra i toni scuri delle forme in primo piano e la vibrante luminosità dei cieli azzurri; similmente ai Fiamminghi del passato Rossano del resto già caratterizzava le sue opere fin dagli esordi con lo sviluppo di piani
degradanti all’orizzonte, qui ridotti ad uno solo per far posto alle più numerose ed ampie nuvole perlacee. Anche la figura umana, a lungo semplice variatio tonale nella prima produzione dell’artista, divenne allora parte integrante del paesaggio: si trattò sempre di umili lavoratori, spesso (come in questo caso) contadini, di quelli che piacevano a
Jean-Francois Millet, intenti nei propri compiti quotidiani, tema questo che alla fine accomunava Rossano anche al più cosmopolita amico De Nittis. Mai condividendo di questi la mondanità, tuttavia, i soggetti ritratti nelle vedute di Rossano erano sempre osservati in lontananza, dal margine, come se l’artista ancora percepisse in qualche modo la
sua esclusione dalla comune vita sociale, ed in questo non può non rintracciarsi ancora quella vena malinconica chesempre lo perseguitò fin dalla sua prima gioventù.