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  • Palizzi Nicola (Vasto - CH 1820 - Napoli 1870)
    Paesaggio
    Olio su tela, cm 45x68
    firmato in basso a destra: N. Palizzi

    Se Giuseppe Palizzi fece da apripista al radicale rinnovamento portato avanti dagli artisti di scuola napoletana intorno alla metà dell’Ottocento e Filippo ne fu indiscusso protagonista (insieme a Domenico Morelli), il terzo pittore della famiglia, Nicola, seppe ripercorrere nel paesaggio la lunga e varia parabola che lo precedette arrivando poi a esiti nuovi e, come vedremo, anticipatori di quanto gli seguì.
    Formatosi sotto l’insegnamento di Gabriele Smargiassi, il nostro infatti produsse in un primo periodo opere certamente ascrivibili al paesaggio di composizione (e cioè storico), affiancate però ad un febbrile studio del vero collegabile piuttosto ai più tardi stilemi della Scuola di Posillipo.
    La peculiarità più propria di Nicola fu tuttavia, come suggerisce Mariantonietta Picone, una costante tendenza a sintetizzare la realtà spesso in macchie di colore a corpo, anticipando di fatto come si diceva ciò che fecero poco dopo Michele Cammarano ma soprattutto i rappresentanti della Scuola di Resina. Questo stile caratteristico inoltre differenzia chiaramente il nostro dal fratello Filippo e dal suo minuzioso realismo, avvicinandolo piuttosto a quanto andava facendo il maggiore Giuseppe in Francia: a Parigi infatti Nicola fu certamente nel 1856, e ivi conobbe Camille Corot ed i Barbizonnier, come attestato dal suo dipinto ‘Foresta di Fontainebleau’.
    L’opera proposta rappresenta dunque un validissimo esempio della particolare poetica di Nicola Palizzi or ora suddetta, e probabilmente è proprio collegabile alle esperienze fatte dall’autore nei terreni d’Oltralpe, dalle quali egli certo tornò rafforzato nelle proprie convinzioni e visione di quanto gli si manifestava attorno.
    Stima minima €5000
    Stima massima €8000
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888)
    Caprette al pascolo
    Olio su tela, cm 65x101,5
    firmato in basso a destra: Palizzi
    Provenienza: Coll. privata, Napoli
    Bibliografia: Ottocento Napoletano Le Scuole, i Protagonisti a cura di G. e E. Sarnelli , Galleria d'arte Vittoria Colonna , Napoli 1997, pag. 96

    Le circostanze che condussero Giuseppe Palizzi a trasferirsi in Francia sono ormai piuttosto note: iscrittosi al Real Istituto di Belle Arti di Napoli in età già matura, presto i suoi ideali vennero a cozzare col rigido accademismo di quella istituzione, scontrandosi in particolare col maestro Gabriele Smargiassi.
    A Parigi nel 1844, il Palizzi fu certo stupito dalla dinamica metropoli ma non si lasciò sedurre dalle sue tentazioni, presto stabilendosi a Passy, nei pressi della foresta di Fontainebleau, stringendo stretti contatti ed amicizia con i rappresentanti della Scuola di Barbizon. I contatti con la terra natia tuttavia certo non mancarono, ed anzi essi sono innanzitutto testimoniati dal ricco epistolario fra gli artisti di casa Palizzi: in particolare può interessarci all’interno di questo corpus la specifica richiesta che nel dicembre 1846 Giuseppe fece al fratello Filippo (protagonista come si sa della rivoluzione che si determinò nell’ambiente artistico napoletano intorno alla metà del diciannovesimo secolo) di inviargli oltralpe studi di animali in svariate posizioni, avendo intenzione di ricopiarli, come scrive Mariantonietta Picone, con ogni probabilità nell’opera da presentare al Salon dell’anno seguente. Questo specifico episodio può darci un’idea della reciproca stima che intercorreva fra i due artisti, considerando che morto Giuseppe Filippo ebbe modo di identificarlo come vero innovatore della pittura di paesaggio di scuola partenopea; non solo, esso ci riconduce anche alla tela proposta, indicandoci una possibile provenienza dei modelli animali cui il suo autore doveva riferirsi nella realizzazione delle proprie opere. Permangono comunque indiscutibili differenze fra i due Palizzi, già solo confrontando il minuzioso realismo di Filippo con la più rapida pennellata di Giuseppe; eppure la minore attenzione di quest’ultimo ad ogni singolo dettaglio non gli impedisce (anzi, ne è forse alla base) di instillare nelle proprie, varie creature sulla tela un certo lirismo, quasi un’anima ed una personalità precise: dall’olio in asta appunto traspare così una forte drammaticità che conduce facilmente a comparare ed identificare gli atteggiamenti animali ritratti con quelli umani che ci sono più propri.
    Stima minima €8000
    Stima massima €15000
  • Joris Pio (Roma 1843 - 1919)
    Dopo la questua
    Olio su tela, cm 66x138
    Firmato in basso a sinistra: P. Joris
    a tergo antico timbro di esportazione in ceralacca
    Provenienza: Collezione privata, Milano
    Esposizioni: Vasto, 1988 Bibliografia: A. Ricciardi, Filippo Palizzi e il suo tempo, Vasto 1988 tav 68

    Se dobbiamo certo credere al De Benedetti quando scrisse del forte legame intercorrente fra l’arte di Pio Joris e la sua città natale, Roma, è altrettanto indubbio che questo grande pittore fu assai influenzato dall’ambiente partenopeo e le rivoluzioni che vi si svilupparono verso la metà dell’Ottocento, a cominciare dalla prima formazione ricevuta dal paesaggista appunto napoletano Edoardo Pastina. In proposito risulta tuttavia di maggiore importanza la visita del giovane Joris alla Nazionale di Firenze del 1861, ove egli ebbe modo di incantarsi al cospetto dei dipinti di Filippo Palizzi e Domenico Morelli, visione determinante nell'indirizzare la sua ricerca pittorica verso lo studio della natura e la rappresentazione del vero in arte: solo cinque anni dopo infatti egli si recò effettivamente a Napoli in visita ai due capiscuola, avendo così modo anche di poter entrare nella galleria di Giovanni Vonwiller. Non va poi dimenticato il legame di Joris con gli artisti spagnoli presenti in Roma al tempo, fra cui certo spicca Marià Fortuny i Marsal, forse un ulteriore collegamento con l’ambiente partenopeo, nonché certamente un tramite fra il nostro ed il celebre mercante Goupil. In effetti il pittore romano raggiunse grande successo in tutta Europa, viaggiando fra molti paesi (in Francia incontrò De Nittis, altro artista napoletano) e presenziando a svariate, prestigiose esposizioni, dalle quali ricevette spesso premi.
    L’opera proposta a tal proposito fu certo molto apprezzata in ambito internazionale, considerando che come è scritto sul suo retro (e confermato da documenti e reportage del tempo) essa vinse la medaglia d’oro all’Esposizione di Vienna del 1873. Non solo, anche in Italia essa riscosse un certo successo, venendo più volte esposta: è certa la sua presenza ad esempio alla Nazionale di Milano del 1881, allorché fu tradotta in varie stampe ed incisioni; da discutersi sarebbe invece l’identificazione con quella “Dopo la benedizione” in mostra alla Nazionale di Napoli del ’77 e assai lodata dal Netti: l’unica prova a favore al momento conosciuta è ancora una incisione (su disegno di Montefusco) riportante sì i dati dell’esposizione or ora suddetta ma il nome più conosciuto dell’opera.
    Stima minima €6000
    Stima massima €9000
  • Palizzi Francesco Paolo (Vasto, CH 1825 - Napoli 1871)
    Natura morta
    olio su tela, cm 37,5x55
    firmato in basso a sinistra: Fran. Paolo Palizzi
    a tergo residui di cartigli

    Deceduto prematuramente, Francesco Paolo Palizzi non portò purtroppo a compimento una ricca produzione artistica, che inoltre si disperse in gran parte fra varie e prestigiose collezioni francesi, visto che l’autore fu stabile a Parigi fino appena ad un anno prima della sua morte. Ritrovare dunque sul mercato un suo dipinto costituisce sempre una sorta di piccolo miracolo, considerando poi l’importanza (riconosciuta piuttosto di recente) che l’artista ebbe nel rinnovamento del genere della natura morta in Italia nel corso del diciannovesimo secolo. In vero il giovane Palizzi (penultimo dei nove pargoli della famiglia) s’avvicinò innanzitutto alla pittura di storia sotto la guida del maestro Camillo Guerra, ma fu poi il vivo interesse per gli insegnamenti di Gennaro Guglielmi, unito allo studio dei grandi maestri del passato quali i caravaggeschi Recco e Ruoppolo (ma anche Giacomo Nani e Luca Forte), a farlo rivolgere verso la grande tradizione della natura morta, che come s’è detto Francesco Paolo rinnovò e rinvigorì al suo tempo (quasi solo, fra i contemporanei) tramite l’adozione di uno stile pittorico che gli venne principalmente dal fratello Nicola, caratterizzato da una pennellata particolarmente larga e materica. Sarebbe comunque assurdo ignorare una certa influenza subita (soprattutto nelle prime prove artistiche) anche da parte dell’altro fratello Filippo, grande innovatore di tutta la scuola napoletana ottocentesca.
    Più determinante tuttavia fu forse il rapporto col più anziano Giuseppe Palizzi, che condusse il nostro a Parigi (mettendolo poi in contatto con i membri della Scuola di Barbizon): determinante, come s’è appena detto, poiché Francesco Paolo in Francia poté ammirare l’opera di Édouard Manet ed il recupero che questi andava allora facendo della natura morta e degli esiti cui in questo genere era precedentemente approdato Jean-Baptiste-Siméon Chardin; del grande Manet il giovane Palizzi riprese con convinzione il fare pittorico sintetico, non esimendosi da vere e proprie citazioni che comunque risalivano a topoi tipici del genere, quale il coltello in bilico sul margine del tavolo che va definendo prospetticamente lo spazio della rappresentazione: caratteristiche, queste, entrambe chiaramente visibili (e con felice realizzazione, aggiungeremmo) nell’opera proposta.
    Stima minima €4000
    Stima massima €6000
  • Michetti Francesco Paolo (Tocco di Casauria 1851 - Francavilla 1929)
    Nunziata
    Olio su tavola cm 16,6x11,6
    firmato in basso a destra: Michetti; dedicato in basso al centro: all''amico Fagan

    Provenienza: Coll . L. Jozzi, Napoli; coll. privata, Napoli

    Bibliografia: A. Schettini, La pittura napoletana dell'Ottocento, E.D.A. R. T., Napoli 1967, vol I, p. 127 a colori; Raccolta Lucio Jozzi, Napoli 1967

    Francesco Paolo Michetti rientra a ragione nel novero di quegli artisti dell’Ottocento italiano mai dimenticati dagli studiosi di settore nonché conosciuti comunemente anche dal più vasto pubblico. Ricordato principalmente come pittore e poi come scultore (arte cui s’avvicinò su consiglio di Costantino Barbella), più di recente è stata approfondita la sua passione per la fotografia mentre ancora troppo frammentarie sono le testimonianze circa la sua attività di cineasta, certo molto avanti sui tempi.
    Talento assai precoce, Michetti si formò ovviamente in quel clima di radicali innovazioni che sconvolsero l’ambiente artistico di scuola napoletana a metà Ottocento, prima e brevemente presso il locale Istituto di Belle Arti (da cui si allontanò per questioni disciplinari) e poi indipendentemente grazie alla guida dei grandi artisti che il suo genio seppe subito conquistare, fra cui vanno citati soprattutto Edoardo Dalbono e Domenico Morelli, ma sempre preferendo i soggetti più tipicamente palizziani, specialmente gli animali, modelli che come scrisse Ojetti in fondo non costavano nulla. Il giovane pittore non mancò intanto di stringere salde amicizie con vari coetanei, quali Gemito e Mancini o i componenti della ormai prossima Scuola di Resina.
    La fama locale ebbe modo di ingigantirsi com’è facile immaginare per tutta la Penisola, consacrata da molteplici esposizioni, così che con altrettanta precocità Michetti conquistò un contratto col mercante Reutlinger (più tardi avrebbe collaborato col principale concorrente di quest’ultimo, ovvero Goupil) e dunque l’accesso ai prestigiosi Salon parigini: fu solo l’inizio del successo dell’artista anche nel panorama internazionale.
    L’opera proposta, certo un piccolo capolavoro del maestro, riporta alla sfera più privata di quest’ultimo: la ritratta Annunziata Cermignani infatti divenne sua sposa nel 1888, in una cerimonia singolarmente privata e con pochi presenti per non suscitare commenti poco graditi sul fatto che i due avessero già un figlio, Giorgio; il tutto si tenne fra le mura del “conventino”, appunto un abbandonato convento quattrocentesco in Francavilla al Mare che il Michetti acquistò ed adattò a casa-studio: là, più volte ospite in virtù di una grande e nota amicizia, Gabriele D’Annunzio compose ‘Il piacere’, ‘L’innocente’ e ‘Il trionfo della morte’. Resta dunque solo da chiedersi se la dedica in basso al centro del dipinto riguardi o no Louis Alexander Fagan, incisore e storico dell’Arte (oggi ricordato per lo più come curatore del British Museum) coetaneo di Michetti e nato proprio a Napoli, nipote del grande archeologo e pittore Robert che fra il tardo diciottesimo e gli inizi del diciannovesimo secolo molto si mosse per l’Italia fra Roma, Firenze ed appunto la capitale borbonica.
    Stima minima €15000
    Stima massima €25000
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888) Mucche olio su tavola, cm 27x38 firmato e iscritto in basso a sinistra: Palizzi ...
    Stima minima €3500
    Stima massima €5500
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888) Mucche
    olio su tavola, cm 27x38
    firmato e iscritto in basso a sinistra: Palizzi ...
    Stima minima €2500
    Stima massima €4500
  • Cosenza Giuseppe (Luzzi, CS 1846 - New York 1922) Canale
    olio su tela cm 42,7x33,7
    firmato in basso al centro: G.Cosenza


    Orfano di entrambi i genitori in tenera età, Giuseppe Cosenza fu affidato ai nonni paterni i quali lo avviarono, come era uso, ad un apprendistato da artigiano; furono tuttavia i contatti stretti con il clero locale a permettergli l’esecuzione delle sue prime opere sotto committenza così che, coadiuvato poi da un pensionato concessogli dalla Provincia cosentina,il giovane artista guadagnò denaro sufficiente per l’iscrizione all’ Istituto di Belle Arti di Napoli, città in cui il Cosenza aveva in realtà già soggiornato pochi anni prima per un breve periodo di studi in pittura sotto la guida del celebre Vincenzo Marinelli.
    Seppure da studente Cosenza ebbe modo di apprendere e seguire (con ottimi risultati, stando alla numerosa lista di premi conseguiti) le teorie artistiche sia di Morelli che di Palizzi, il suo spirito anticonformista e la complicità con
    l’amico di una vita, Francesco Paolo Michetti, lo condussero presto ad un avvicinamento prima ed a un lungo sodalizio
    poi con il gruppo di Portici. Ivi Cosenza ebbe modo di conoscere i due artisti che forse più di tutti influenzarono la sua
    produzione: da un lato lo spagnolo Mariano Fortuny, dal quale il nostro prese a prestito la resa preziosistica del colore
    e la luminosità diffusa e tersa, dall’altro Edoardo Dalbono, al quale Cosenza s’avvicina evidentemente nella scelta degli svariati e caratteristici soggetti marinareschi.
    A quest’ultima produzione appartiene la tela proposta (di certo antecedente alla seconda metà degli anni Ottanta,quando Cosenza si trasferirà a New York trasformando radicalmente la propria pittura da realista a simbolista e decadente), seppure non sono né la tradizionale costa partenopea né quella caprese ad esser rappresentate ma una
    più insolita e rara veduta non ben identificabile geograficamente; invariato è l’intento commerciarle, che rispondeva alle incessanti richieste di paesaggi tipici italiani da parte dei collezionisti internazionali (tramite il grande mercante
    Goupil), invariato quello compositivo, che seguendo i dittami del genere della “canzone sul mare” mirava alla rappresentazione sinestetica dei colori, dei suoni e finanche dei profumi caratteristici (grazie ad una maestria davvero virtuosistica nel riportare anche i più piccoli dettagli percepiti dall’artista) del placido ma pittoresco canale che occupa il centro della composizione, non senza una visione che si fa vagamente romantica pur nel suo ancorarsi saldamente alla raffigurazione del vero.
    Stima minima €5500
    Stima massima €8500
  • Patini Teofilo (Castel di Sangro, AQ 1840 - Napoli 1906)
    Il ciabattino
    Olio su tela, cm 100x76
    firmato in basso a destra: Patini

    Se Teofilo Patini raggiunse quei meravigliosi e sorprendenti esiti che oggi tutti conosciamo nella pittura pregna di impegno e denuncia sociale, fu certo anche grazie alla formazione, cominciata negli stessi anni in cui all’interno della scuola napoletana ci si rivolgeva con maggiore attenzione alle poetiche del vero: allievo infatti di Mancinelli, furono certo i contatti con Domenico Morelli e gli artisti di casa Palizzi a risultare particolarmente determinanti per la sua arte, come dimostra l’iniziale ma già apprezzata produzione dell’artista incentrata su scene e temi storici. Fu in seguito di grande importanza anche il sodalizio artistico e personale con Michele Cammarano, quand’anche la conoscenza della scuola toscana (grazie ad un pensionato) non riuscì davvero a far virare lo stile del Patini verso una pittura di macchia.
    Sempre impegnato nella vita oltre che nell’arte (com’è ovvio pensare ispirandosi al titolo di un suo celebrato dipinto, ‘Arte e libertà’), Patini prese prima parte tanto ai moti unitari che a varie operazioni subito successive, partecipando inoltre alle ferventi attività che riorganizzarono dopo il ’61 le istituzioni artistiche e culturali d’Italia: così s’associò subito alla Promotrice di belle arti di Napoli.
    Alla mostra del 1873 della Società suddetta il pittore inviò ‘Il ciabattino’ (o ‘Ogni bella scarpa diventa scarpone’, detto tipico partenopeo), poi presentato alla Nazionale torinese del 1880 ed oggi conservato a villa Pignatelli Cortés. L’opera proposta costituisce quindi un ritorno sullo stesso soggetto, che qui tuttavia riempie l’intero spazio della rappresentazione venendoci impedita stavolta la visione d’insieme della sua bottega: se dunque s’è perso in qualche modo quel fare “alla fiamminga” delle prime prove artistiche del Patini ora è indiscutibile e lapalissiano il legame allo stile di Cammarano e dunque alla grande tradizione della pittura napoletana secentesca, di cui tuttavia sono notevolmente schiariti i toni in favore di una più diffusa luce all’interno della scena.
    Stima minima €10000
    Stima massima €15000
  • Palizzi Nicola (Vasto, CH 1820 - Napoli 1870) Alla fontana olio su carta rip. su tela, cm 19,5x25 firmato in basso a sinistra: N.Palizzi
    Stima minima €3000
    Stima massima €3800
  • Palizzi Giuseppe (Lanciano, CH 1812 - Passy 1888) Pascolo a Fontainebleau olio su tela, cm 50x70 firmato in basso a destra: G Palizzi
    Stima minima €2500
    Stima massima €4500
  • Formis Befani Achille (Napoli 1832-Milano 1906)
    Ritorno dai campi
    olio su tela, cm 32x44,5
    firmato e datato in basso a sinistra: A. Formis 69
    a tergo timbri Steinhage Darmstadt

    Provenienza: Coll. Steinhage, Darmstadt (Germania); Galleria Maspes, Milano; Coll. privata, Napoli

    Bibliografia: R. Caputo, La Pittura napoletana del II Ottocento, Di Mauro Editore, Sorrento (NA) 2017, p.112.

    Amante del canto assunse lo pseudonimo “Formis”, ritenendolo più sonoro e così firmò le sue opere. Nipote del miniaturista Michele Albanesi, eseguì da giovanissimo un disegno a lapis rappresentante la Reale Piazza di San Carlo nel 6 dicembre 1846, in occasione dell’inaugurazione delle sculture in bronzo dei cavalli posti a guardia di un cancello d’entrata al Palazzo reale.
    Formatosi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, seguì la Scuola di Paesaggio di Gabriele Smargiassi e nel 1848 espose una tela rappresentante il Vesuvio veduto da Posillipo.
    Ancor prima di aver compiuto i trent’anni il pittore si trasferì a Milano, frequentando Eugenio Gignous, Giuseppe Bertini ed Eleuterio Pagliano e dedicandosi sia alla pittura di paesaggio che di figura. Agli inizi degli anni Settanta, influenzato dalla moda dell’Orientalismo, compì numerosi viaggi riportando buone impressioni dalla Turchia e dall’Egitto, eccezionalmente sobrie ed immuni dai soliti esotismi di maniera. Nel 1870 a Parma, espose due dipinti: Villaggio arabo presso Alessandria d’Egitto e Costantinopoli vista da Pera. Viaggiò a lungo in Italia alla ricerca dei luoghi da ritrarre che espose anche in ambito internazionale. Così come fece nel 1873, partecipando alla Mostra Universale di Vienna con il dipinto Il lago di Varese.
    In quest’opera: Ritorno dai campi del 1869, il Formis mette in risalto il filone lirico del Romanticismo lombardo, arricchendolo del gusto naturalistico partenopeo la cui adesione, da Palizzi a Rossano, si ritrova nel modo di costruire la scena dell’ambiente naturale resa con pennellate ariose, rispetto alle figure che mantengono sempre una ben definita e bonaria plasticità.
    Stima minima €4000
    Stima massima €7000
  • Rossano Federico (Napoli 1835 - 1912)
    Mucca al pascolo
    olio su tela cm 45x60
    firmato in basso a destra: Rossano
    a tergo cartiglio Mostra del paesaggio napoletano dell'Ottocento A. XIV
    Provenienza: Gall. Giosi, Napoli; Finarte, Milano; coll. privata, Modena

    Esposizioni: Napoli settembre 1936; Napoli 1983; Milano 1988; Napoli 1989

    Bibliografia: Il paesaggio nella pittura napoletana dell’Ottocento, Sindacato Interprovinciale Fascista di Belle Arti, Napoli 1936, pag. 86; R.Caputo, Federico Rossano, Grimaldi C. Ed. Napoli 2000 tav XXXIII; Vendita all'asta Gall. Giosi Napoli 1983, n. cat 49; Cat. asta Finarte Milano 1988; Ottocento. Catalogo dell’Arte italiana dell’Ottocento n.17, Mondadori, Milano 1988, ill. b/n p.367; Vendita all'asta Gall. Giosi, Napoli 1989 n. cat 56 a colori

    Da paesaggista attivo a Napoli e dintorni nel corso del secolo diciannovesimo Federico Rossano non poté che ispirarsi innanzitutto alla temperie della grande Scuola di Posillipo, di cui riprese appunto un certo afflato lirico, finendo poi per farsi notare finanche dal celebre maestro e caposcuola Giacinto Gigante. La sua strada più propria ed autentica il nostro tuttavia l’intraprese solo allorché, trasferitosi a Portici presso l’amico Marco De Gregorio, con questi ed altri artisti (Belliazzi, De Nittis, Campriani, per citarne giusto qualcuno) diede il via al movimento noto quale Scuola di Resina o Repubblica di Portici; fin dal manifesto i sodali affermavano la necessità del rappresentare la natura così com’era, senza alcun orpello intimista: un principio, insomma, che portando ad estreme conseguenze la lezione che già da un po’ propugnava Filippo Palizzi appare diametralmente opposto alla pittura si sentimento caratteristica dei posillipisti.
    Nei fatti tuttavia risulta difficile non ritrovare nei dipinti di Rossano tracce del suo animo complesso e spesso malinconico (anche a causa del tumultuoso rapporto con i famigliari i quali, non accettando la sua vocazione alla pittura, lo relegarono ad uno stato di semi-diseredato). Quando difatti l’autore si trasferì in Francia nel corso degli anni Settanta dell’Ottocento, egli trovò una collocazione ideali fra i membri della Scuola di Barbizon, i quali predicavano una stretta vicinanza fra uomo e Natura, se non una vera e propria comunione per cui il primo finiva per confondersi nell’altra. L’opera proposta appartiene certamente a questo periodo trascorso nelle terre d’Oltralpe, ma non solo per la sottile tristezza che pare qui e là trasudare dalla tela, fra gli alberi spogli che sembrano stagliarsi nudi e solitari contro il cielo. Passeggiando per i dintorni di Parigi infatti la tavolozza di Rossano prese a schiarirsi, arricchendosi soprattutto di toni rosei, nella ricerca da parte dell’artista della migliore resa luministica in pittura di specifici momenti della giornata, quali alba e tramonto: pare appunto costituire un buon esempio di questa nuova poetica la tela in asta, in cui l’aurora baluginante a stento riesce ad illuminare e riscaldare la contadinella sveglia ed al lavoro già da tempo, probabilmente diretta al pascolo.
    Stima minima €9000
    Stima massima €14000
  • Toma Gioacchino (Galatina ,LE 1836 - Napoli 1891)
    San Giovanni a Teduccio
    olio su tavola, cm 15x23,5
    firmato in basso a sinistra: G Toma

    Provenienza: Coll. prof. Giovanni Calò, Firenze; Galleria Parronchi, Firenze; Coll. privata, Napoli
    Esposizioni: L’Aquila, 1999; Galleria Parronchi Esposizioni della Permanente, Milano, 2002; Galleria Parronchi Modenantiquaria,Modena, 2002
    Bibliografia: M. Biancale, Gioacchino Toma, Roma 1933 ca., tav. LXVII; Di Matteo G. – Savastano C., Filippo, Giuseppe, Nicola, Francesco Paolo Palizzi di Vasto, S. Atto di Teramo 1989; IPalizzi. Una famiglia in mostra, Catalogo mostra L’Aquila 1999.

    L’opera risale probabilmente agli anni tra il 1882 e l’85 quando Toma, durante i soggiorni a Torre del Greco e S. Giovanni a Teduccio realizza, oltre
    ad ampie vedute, tele con piccole porzioni di paesaggio tra i quali include sempre il solido particolare di una porta, di un cancello, di un muro.
    Nonostante questi inserimenti e forse sulla base dell’appoggio dato da questi all’insieme dell’opera, la pennellata si sfalda in piccoli tocchi, secondo
    varie forme e partiti di ombra-luce, in misura inversamente proporzionale al grado di solidità degli inserti. È il caso anche del San Giovanni a
    Teduccio, località nei pressi di Napoli, dove Toma era solito trascorrere le vacanze estive a Villa Garzoni.
    Questa opera appartiene alla seconda maniera dell’artista. Lo studio del plein-air, gli effetti di sole e di ombra ottenuti con pennellate libere e
    sintetiche. Inoltre la tavolozza più chiara e vivace hanno fatto sottolineare a Biancale una certa vicinanza con la pittura impressionista. Molto più
    concretamente nell’opera si riscontra il nuovo modo di osservare il paesaggio da parte del pittore mediante una sintesi di luce-colore.
    Tale esperienza può essere ricondotta ad una struttura compositiva di ampi paesaggi, ripetuta in più tele che variano, poi, nelle componenti
    cromatiche e luministiche. In San Giovanni a Teduccio, la stesura appare molto più libera, anche se pure in questi casi, non è da mettere in dubbio
    una prima fase di studio. La definizione spaziale è sempre molto solida. Ne è testimone l’inquadramento del viale in diagonale e la collocazione di
    figure sul fondo così da rendere una immediata misurabilità dello spazio, secondo un principio riconoscibile nella pittura di paesaggio pervenutagli attraverso la nuova vitalità dalla Scuola di Resina.
    Stima minima €3500
    Stima massima €7500
  • Dalbono Edoardo (Napoli 1841 - 1915)
    Popolana napoletana
    olio su tavola, cm 40,5x20,5
    firmato in basso a destra: E. Dalbono
    a tergo cartiglio Galleria Mediterranea, Napoli

    Tradizionalmente collegato nell’immaginario comune a tutta una serie di vedute di Napoli e dintorni dall’atmosfera particolarmente onirica e trasognata, cui Edoardo Dalbono pervenne muovendosi tra gli insegnamenti del suo principale maestro, Nicola Palizzi, ed il recupero di una certe temperie della grande Scuola di Posillipo, in gioventù il nostro s’avvicinò in realtà all’Arte tramite una produzione molto folkloristica di costumi popolari locali, su spinta ed ispirazione del padre Carlo Tito Dalbono, dipendente pubblico ma anche poeta estemporaneo nonché autore proprio di una raccolta di tradizioni partenopee e campane.
    L’opera proposta dunque si pone probabilmente proprio all’inizio di questa prima produzione del Dalbono, tanto nel soggetto che nell’attenzione alla linea disegnativa e nel potente colorismo, aspetti questi ultimi che tradiscono la devozione del nostro anche ai dittami di Domenico Morelli.
    Su questo stesso filone popolare si collocheranno poi (va infine ricordato) capolavori dell’autore quali le sue “tarantelle” e le “canzoni sul mare”, opere di grande successo espositivo e collezionistico.
    Stima minima €2600
    Stima massima €3800
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